Non si può parlare di una vera e propria “cura”, quanto piuttosto di un alleato per far sì che sia meno probabile il verificarsi di un decorso e di un esito negativo legato a un tumore al seno.
Parliamo della vitamina D. Riguardo alla quale uno studio, presentato dalla Società americana di oncologia clinica, afferma che “livelli sufficienti al momento della diagnosi sono risultati associati a una miglior prognosi del cancro al seno”.
Lo studio
Il testo, pubblicato on line nella biblioteca dell’Asco, presenta i risultati della ricerca effettuata su 3.995 pazienti relativamente ai “risultati di sopravvivenza dopo un follow-up mediano di dieci anni”.
Gli studiosi premettono che “non esiste uno studio randomizzato, in corso o pianificato, sull’integrazione di vitamina D in vista per le donne dopo la diagnosi di cancro al seno”. Per questo le valutazioni si sono incentrate sulle relazioni tra i livelli sierici della vitamina e gli esiti del tumore in un’ampia coorte di sopravvissuti.
“Ci sono stati risultati suggestivi – conclude lo studio – per una migliore sopravvivenza al cancro con l’integrazione di vitamina D nel recente studio VITAL. I risultati sono coerenti con le meta-analisi basate su precedenti studi randomizzati che testavano l’assunzione giornaliera di integratori di vitamina D. I nostri risultati forniscono la prova più forte fino ad oggi per il mantenimento di livelli sufficienti di vitamina D nei pazienti con cancro al seno, anche tra le donne nere e quelle con malattia in stadio più avanzato”.
L’assunzione di vitamina D
Le considerazioni riportate dall’Asco partono dalla premessa che, tra la popolazione statunitense, la maggioranza non ha livelli sufficienti di vitamina D nel sangue.
Sono diversi i fattori che incidono su questi livelli, dalla razza, all’obesità, alla genetica.
Ma, soprattutto, sono assai pochi gli alimenti, in natura, che contengono questa vitamina.
Un modo per aumentarne il livello nel sangue, senza dover ricorrere a integratori, è l’esposizione al sole, anche se, in questo, incide la concentrazione di melanina. Più è scura la pelle, più tempo bisogna cioè restare sotto il sole per ottenere benefici. Va evitato però l’eccesso di assunzione di integratori, che possono portare a intossicazioni.
Vitamina D: a cosa serve e dove si trova
Chimicamente, la vitamina D è uno steroide, fondamentale per la regolazione di calcio e fosforo a livello di intestino, reni e ossa. Il fabbisogno giornaliero, pari a una quantità tra 10 e 15 microgrammi, aumenta con l’età, in particolare dopo i 65 anni.
Si distingue tra “D3” (colecalciferolo, prodotto anche dal nostro organismo) e “D2” (ergocalciferolo, contenuto in alcuni alimenti).
Tra i cibi ricchi di vitamina D c’è prima di tutto l’olio di fegato di merluzzo e la carne di alcuni pesci: trota, salmone, aringhe, tonno e pesce spada. Ma ne contengono anche le uova (di gallina o di pesce), latte e latticini e carne di maiale. Meno presente nei vegetali, è comunque presente in alcuni funghi (come finferli e gallinacci) o nei cereali fortificati.
Vitamina D e malattie
Storicamente, la carenza di vitamina D è stata associata al rachitismo, un difetto della calcificazione delle ossa che colpisce soprattutto i bambini. In età adulta un basso livello di questa vitamina può invece portare alla osteomalacia, ovvero alla rarefazione macroscopica delle ossa.
Un’integrazione può rendersi utile in particolare per chi assume steroidi a lungo termine, per i malati renali cronici, per gli obesi e gli affetti da malattia paratiroidea, oltre che per gli anziani (e, in particolare, le donne in menopausa).
La possibile relazione evidenziata tra i livelli di vitamina D e l’evoluzione del cancro al seno apre così alla possibilità di prevenzione di una delle forme tumorali più comuni.
La più diagnosticata in Italia nel 2020 con 54.976 casi, pari al 14,6% di tutte le nuove diagnosi. E le stesse linee guida dell’Associazione italiana di oncologia confermano che il rischio di ammalarsi di carcinoma della mammella aumenta con l’aumentare dell’età.
Alberto Minazzi