di Luisa Quinto
Chissà quanti di voi in soffitta, piuttosto che in qualche scatolone accatastato in magazzino, ancora ne conserva.
Siamo sempre più tecnologici e digitali, ma ci sono oggetti che ci restano cari per sempre.
Rappresentano una parte del nostro passato, testimoniano le nostre vecchie passioni, riassumono parte della nostra storia. Sarà per questo che il mercato dell’usato è oggi quello in maggior espansione. Una nicchia che non conosce età e affascina anche i più giovani.
Ebbene, se in qualche parte della vostra casa conservate ancora dei vecchi vinili che non avete avuto il coraggio di buttare, non fatelo ora. Possono valer oro.
Un esempio? La copia numero 1 del White Album dei Beatles, disco quotato oltre 900 mila dollari.
Dalla passione all’investimento
Con l’avvento del CD e subito dopo della musica cosiddetta “liquida”, cioè quella che non ha bisogno di supporto fisico (in pratica quella che si scarica dalla rete), il disco in vinile era dato come oggetto in via di estinzione.
Tuttavia, a dispetto di ogni più nera previsione, è sopravvissuto e ha riconquistato quote di mercato significative, soprattutto all’estero.
Così, quello che in principio era una passione e poi è rimasto a lungo un oggetto legato alla nostalgia, sta diventando un settore di investimento.
Soffitte e cantine, isole del tesoro
Che ne dite dunque di rovistare nelle soffitte, in cantina o in qualche mobile del salotto alla ricerca di vecchi dischi? Potrebbero valere una piccola fortuna.
Oltre al White Album dei Beatles, anche il Black Album di Prince, Pride degli U2 e Space Oddity di David Bowie valgono migliaia di euro.
Tra i vinili di artisti italiani i più quotati sono: Vento Caldo di Franco Battiato, Contrasto dei Pooh e Ingresso Libero di Rino Gaetano.
Il valore di mercato dei vinili usati cresce in base all’anno di pubblicazione (valgono di più le prime edizioni), al numero di copie stampate, alle copertine e agli errori di incisione.
Storia di un’icona
Ma quando è nato il disco sonoro? La sua storia inizia in America quando, nel 1878, Edison brevettò il fonografo, un rudimentale dispositivo in grado di registrare e riprodurre suoni grazie a dei solchi impressi su cilindri di ottone rivestiti di carta stagnola, poi sostituita dalla cera.
A “mettere” invece la musica su una superficie piatta fu il tedesco Emile Berliner che nel 1887 inventò il grammofono. In pratica il primo giradischi, che molti ricorderanno per quella tromba esterna che diffondeva i suoni.
I primi dischi erano in zinco ricoperti di cera e alla fine del 1800 apparvero quelli in gommalacca, su brevetto dello stesso Berliner. Grazie ai progressi tecnologici, nel giro di pochi decenni cominciò la loro produzione industriale.
Il primo disco in vinile apparve però soltanto nel 1948. Era un 33 giri 1/3 distribuito dalla Columbia Records.
Un’inaspettata resilienza
Il boom di vendite di dischi si registrò alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso ma poi arrivarono sul mercato nuovi supporti che misero in seria difficoltà il settore: uno su tutti il Compact Disk.
A un certo punto, quel piccolo disco riflettente, in grado di memorizzare una mole impressionante di suoni digitali senza imperfezioni, leggero e facilmente trasportabile, sembrava aver messo il vinile in seria difficoltà.
Invece, in barba a tutto, il vinile è resistito, anche dopo l’avvento della cosiddetta musica “liquida”, e negli ultimi anni il mercato ha ripreso quota dimostrando una resilienza inaspettata, tanto da diventare un prodotto di nicchia per collezionisti e appassionati.
E non è una questione di età perchè i dischi sono richiesti anche dai più giovani, compresi alcuni Dj, che nelle loro performance usano mp3 e vinili contemporaneamente.
Il “rinascimento” del vinile
Negli anni il vinile non ha mai perso il suo fascino, anzi. In passato c’era chi poteva permettersi una sala musica attrezzata di tutto punto, chi insonorizzava le pareti con gli imballaggi dei cartoni delle uova, polistirolo o rivestiva tutto di legno. Una cosa accomunava gli appassionati: la musica non si “sentiva” ma si “ascoltava” .
Forse è per questo che i vinili non hanno mai smesso di essere di moda, perché ascoltarli è un rito, quasi un’esperienza mistica, una modalità slow che va in controtendenza rispetto a questo mondo che gira sempre più in fretta. I vinili si prendono in mano con delicatezza, si spolverano, si appoggia delicatamente la puntina sui solchi e poi, da seduti, ci si gode la bellezza della musica.
A Venezia il più grande collezionista d’Italia
Quello che è stato definito il “tempio del vinile” si trova a Mestre, nel comune di Venezia ed è la casa di Carlo Pistacchi, il più grande collezionista d’Italia di 33, 45 e anche 78 giri.
Dischi di raggae, di cui è grande appassionato, ma anche di musica classica, jazz, rock, black music, pop italiano, rap: la collezione di Pistacchi (circa 25 mila pezzi, compresi cd e cassette) ha cominciato a prendere forma a fine anni ’70 e oggi riempie il suo intero appartamento.
A Verona una delle poche fabbriche italiane di vinili
Come nasce un vinile e dove viene prodotto? Tralasciando le tecniche di registrazione, sono pochissime le fabbriche che ancora stampano dischi. In tutto il mondo se ne conta circa quaranta, di cui una ventina in America. Soltanto quattro le fabbriche italiane, almeno fino al 2019, quando cinque ragazzi veronesi hanno fondato la Mother Tongue Record, piccola azienda che stampa vinili lungo le rive dell’Adige, a Verona, in Veneto.
Pezzo bellissimo e intrigante. Complimenti per la qualità.