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Querinissima: la via che unisce l'Europa dall'Artico al Mediterraneo

Querinissima: la via che unisce l'Europa dall'Artico al Mediterraneo

Dal naufragio di Pietro Querini alla scoperta dei popoli del Nord

Ai più è noto perché, dalla terra norvegese, portò lo stoccafisso. Ma pochi sanno che il Capitano da mar Pietro Querini, con quel suo naufragio oltre il Circolo Polare Artico, contribuì a far conoscere agli europei del XV secolo i popoli del Grande Nord.
Si aprì così, di fatto, la grande stagione delle scoperte geografiche culminata, sei decenni dopo, con il viaggio di Cristoforo Colombo.
Oggi quel suo viaggio è diventato un Itinerario Culturale che racconta una pagina importante della cultura norvegese e della storia europea. E che per la sua valenza storica e culturale è stato candidato al Consiglio d’Europa  quale Itinerario e progetto economico, turistico e storico che unisce tutta l’Europa, dall’Artico fino al Mediterraneo.

La “Via Querinissima”

Promosso dalla Regione Veneto, il viaggio di Pietro Querini è diventato infatti da poco un itinerario culturale che attraversa 11 paesi europei e segue la stessa rotta del navigatore veneziano. La “Via Querinissima”, questo il nome, parte da Candia, sull’isola di Creta, per toccare poi la Spagna, il Portogallo, la Gran Bretagna, e l’Irlanda.
Arriva infine in Norvegia e, al ritorno, passa per Scandinavia, Germania, Belgio, Francia e Svizzera.

Andrea Bianco, carta di parte delle coste dellEuropa settentrionale e delle isole britanniche 1436 @Marciana

Pietro Querini, caparbio “Capitano da mar”

Se quella volta tutto fosse filato liscio come da programma, Querini avrebbe raggiunto Bruges e fatto grandi affari in loco. Ma nulla andò come previsto.
Venti, tempeste e avarie frenarono il suo viaggio. Nonostante ciò, Querini non si perse d’animo, anche quando tutto pareva perduto.
Fu forse la sua caparbietà – insieme a quella che noi oggi chiamiamo “capacità di problem solving” – a fargli decidere di lasciare la nave soltanto a nord dell’Irlanda.
Mise i suoi uomini su due scialuppe ma soltanto 11 sopravvissero: quelli naufragati oltre il circolo Polare Artico.
Una volta tornato a Venezia, scrisse una importante relazione per il Senato in cui raccontò dettagliatamente tutti gli accadimenti. E fu grazie a quella relazione che la Serenissima per prima, e poi l’Europa tutta, venne a conoscenza dei popoli dell’estremo nord, dei loro usi e delle loro tradizioni.

Querini, il primo narratore delle terre artiche

Di quel tragico naufragio e dei mesi passati alle Lofoten rimangono due resoconti.
Il primo fu redatto dallo stesso Capitano da mar (l’originale è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana); l’altro è una trascrizione dei rapporti degli altri due sopravvissuti Cristoforo Fioravante e Nicolò de Michiel, ad opera del fiorentino Antonio Matteo di Corrado de’ Cardini.
I due diari di viaggio vennero ripresi quasi totalmente nel secondo volume “Delle Navigationi et viaggi” di Giambattista Ramusio, pubblicato nel 1559.

Da Querini alla Querinissima

Quelle relazioni costituiscono di fatto le prime testimonianze ufficiali delle terre artiche.
Vi si scriveva di clima, geografia, vita economica e sociale e anche di quello “stocfis” che avrebbe fatto la fortuna dei mercanti veneziani.
“Agli inizi del XV secolo, le terre oltre il Circolo Polare Artico non erano disegnate sulle mappe – spiega Pietro Falchetta, responsabile dell’Ufficio Carte Geografiche della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia -. Nel 1436 il cartografo veneziano Andrea Bianco compone un atlantino nautico, conservato presso la Marciana, e in una carta dell’Europa Settentrionale all’altezza delle Lofoten appare segnata una località con il nome “Stocfis”. Non sappiamo con certezza se il Querini avesse avuto contatti con il cartografo ma è ipotizzabile che Bianco fosse venuto a conoscenza del naufragio e che ne fosse rimasto impressionato tanto da indurlo a inserire quel toponimo”.
Anche nel Mappamondo di Fra Mauro c’è un esplicito riferimento al naufragio del Querini in un punto segnato di fronte alla costa norvegese in cui si legge “In questa proui(n)cia de norue|gia scorse misier piero querini come è noto”.

Particolare del Mappamondo di Fra’ Mauro conservato dalla Biblioteca Marciana di Venezia

Quel viaggio maledetto

Il 25 aprile 1431 la “caracca” Querina lasciava il porto di Candia (sull’isola di Creta) diretta verso le Fiandre con un carico di vino Malvasia, spezie e legni pregiati.
Al seguito di Pietro Querini, il Capitano da mar, altri 67 uomini tra cui lo scrivano Nicolò de Michiele e il consigliere di bordo Cristofalo Fioravante.
Danni al timone, poi alla chiglia, i venti contrari e le soste forzate ritardarono la traversata. A Capo Finisterre, in Spagna, una fortissima tempesta mandò fuori rotta la Querina, verso il nord dell’Irlanda. La perdita del timone e la rottura dell’albero mandò la nave alla deriva.
Fu soltanto allora che Pietro Querini diede l’ordine di abbandonarla: 21 uomini salirono su uno schiffo (simile a una scialuppa), gli altri 47, compresi Querini, de Michiele e Fioravante, su una lancia più grande. Dello schiffo si persero subito le tracce, mentre la lancia continuò il suo viaggio per un altro mese, naufragando oltre il Circolo Polare Artico, sugli scogli di un’isola dell’arcipelago delle Lofoten.
Era il gennaio del 1432 e gli unici undici i sopravvvissuti per giorni si cibarono di quel poco che offriva la terra arida, gelida e sconosciuta. La fine era vicina quando finalmente vennero ritrovati da alcuni pescatori della vicina isola di Rostene (l’attuale Røst) e vennero salvati da morte certa.

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