La singolare storia della stilista e imprenditrice Roberta Scarpa. Grazie ad una creatività che affonda le radici nella tradizione locale è oggi a capo di Dressing, azienda che vende in tutto il mondo e collabora con grandi griffe come Class, Roberto Cavalli, Scervino Street e Plein Sud
La voce limpida ma morbida, l’argomentare adrenalinico di un’industriale che gestisce una delle più interessanti aziende di moda del Veneto, fondata con il marito sulle rive del Sile. È Roberta Scarpa stilista, imprenditrice, alla guida di Dressing, azienda che conta oggi due stabilimenti, 70 milioni di fatturato annuo, 150 dipendenti a cui aggiunge un indotto di almeno un centinaio di collaboratori.
Stilista e creativa segue sia le sue linee aziendali che le produzioni per grandi griffe internazionali tra cui Class, Roberto Cavalli, Scervino Street e Plein Sud. Legatissima a Venezia e alla venezianità che permea tutta la sua attività e che in qualche modo ricorre nella sua vita, nel simbolo del moretto che ha scelto per rappresentare la sua linea personale, ma anche nei luoghi.
La sua prima sfilata a Milano fu in Viale Venezia e lì è anche il suo Show Room oggi, dove in un ambiente antico ospita le sue sfilate e quelle dei suoi clienti. Un percorso nato quando da giovanissima frequentava l’atelier della zia che negli anni ’50 e ’60 a Venezia creava e vendeva cappelli per l’alta società e i turisti americani, in quegli anni molto attenti alla cultura del lusso e del dettaglio.
Quali sono le difficoltà che le si sono presentate, come donna, nello sviluppare la sua azienda nel corso degli anni? «Ho incontrato difficoltà ma non tanto come donna, quanto come creativa che doveva poi sviluppare a livello imprenditoriale dei progetti. Essere solo stilista è più facile che essere anche imprenditore, essere entrambe le cose significa che ogni giorno sei legato sia alla necessità di sperimentare che a quella di sviluppare e consegnare prodotti senza la minima sbavatura. Per fare questo devi essere in grado di stimolare anche i tuoi collaboratori affinché ti seguano. Come dicevo, non è una difficoltà legata al fatto di essere donna quanto piuttosto al fatto di esplorare strade nuove. Ma è il sale della ricerca: un po’ amaro ma indispensabile a dare sapore al lavoro».
Dressing si conferma in crescita sia per accordi con le grandi maison sia per le linee personali. Quali sono gli stimoli che incontra per riuscire a conseguire questi risultati, dal punto di vista aziendale e creativo? «È sorprendente che proprio i paesi dove sino a 50 anni fa la moda era inesistente, oggi rappresentino uno dei mercati più importanti. Ma un imprenditore contemporaneo deve essere flessibile: comprendere le mutazioni di mercato in tempo reale e modulare l’offerta per garantire un futuro all’impresa e ai suoi dipendenti. Lo scenario del villaggio globale ha moltiplicato tutto, compresi gli investimenti e il numero di competitor, ma anche i risultati. Non è un caso se l’export è in forte crescita soprattutto verso i mercati dell’Est, Cina e Medio Oriente. Nel nostro caso, per esempio, con il gruppo cinese Pacific Life Holding CO.Ldt abbiamo siglato un accordo per aprire 20 boutique in Cina. Le prime due saranno inaugurate a Pechino e Shangai entro il 2014. E poi crescono anche gli stimoli: creare per il villaggio globale, significa tener conto delle esigenze di tanti tipi di donne e di culture differenti. Le forme dei capi devono aderire a conformazioni fisiche diverse. Gli stessi colori hanno significati diversi. Ma ancora una volta questa sfida m’intriga. E poi la “mia” donna è sempre stata una viaggiatrice».
Il made in Italy è ancora un plus? «Il made in Italy è l’arma più forte con la quale possiamo competere, perché affonda le radici in una cultura millenaria, senza eguali. Il nostro artigianato non è solo “il fatto a mano” ma un’espressione dell’arte applicata alla manifattura».
Ha delle indicazioni da dare per continuare a mantenere questo valore e il valore del brand Venezia? «In questo panorama, il made in Veneto rappresenta un’eccellenza poiché è nato e cresciuto sotto l’influenza della Serenissima. Se applico un mosaico di vetri ai miei abiti, racconto la storia di Murano. Chi indossa i capi della mia griffe, porta a spasso il simbolo del moretto con tutti gli annessi e connessi culturali. Lo Stato dovrebbe valorizzare di più il nostro patrimonio storico-culturale, per dare risalto alla culla della nostra creatività. Al resto ci sanno pensare le singole imprese che si sono affermate senza aiuti. Venezia oggi deve guardare al futuro, deve tornare attiva, essere fulcro attivo di produzione, imprenditoria e cultura e non essere dedicata solo al turismo. Solo così il mondo continuerà a stenderci il tappeto rosso ovunque citiamo il suo nome».
Quali sono gli obiettivi e i sogni per il futuro dell’azienda e personali? «Il mio sogno? Non fermarmi mai: continuare a lavorare anche perché attraverso il lavoro si resta connessi alla società. In tempi d’ instabilità come i nostri è difficile coltivare sogni che non siano il presidio delle posizioni raggiunte».