Chiusa con successo a dicembre la prima fase del progetto europeo Maelstrom, che ha recuperato oltre 2 tonnellate di rifiuti plastici in 2 siti tra Laguna e mare nel Veneziano
Il risultato ottenuto è di tutto riguardo: un “bottino” di oltre 2 tonnellate di rifiuti di plastica sottratti agli ambienti acquatici naturali dove erano andati a depositarsi.
Si può davvero parlare di un successo per la parte italiana del progetto Maelstrom, co-finanziato dall’Unione Europea, che si è conclusa a dicembre 2024 mirando a dare un contributo per affrontare una problematica crescente in tutto il Mondo.
I due test condotti in ambiente lagunare (nei pressi dell’isola di Sacca Fisola) e marittimo (in una mitilicoltura vicino a Jesolo) hanno infatti confermato l’efficacia del robot che, utilizzando anche le opportunità messe a disposizione dall’intelligenza artificiale, è in grado di rimuovere selettivamente e in autonomia il materiale inquinante presente nei siti.
Ma è solo il primo passo di un percorso che si spera possa proseguire. Basti pensare che, sottolinea Fantina Madricardo, primo ricercatore al Cnr-Ismar di Venezia e coordinatore scientifico del progetto, “con questi interventi abbiamo rimosso il 60% degli oggetti nell’area dove ha operato il robot in laguna e il 75% in mare. Ma sono piccole aree rispetto a quanto abbiamo documentato esserci sul fondale”.
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I risultati del progetto Maelstrom nel Veneziano
Fare una stima quantitativa dei rifiuti plastici presenti in acqua e nei fondali non è semplice.
I ricercatori del progetto si sono concentrati così in particolare sulla densità degli oggetti presenti in superficie nelle zone esplorate. “Nell’area di Sacca Fisola – fa il punto Madricardo – questa presenza è decisamente diminuita, dopo i nostri interventi. Ma, al tempo stesso, va ricordato che, restando a Venezia, negli ultimi 10 anni i rifiuti plastici in Canal Grande sono raddoppiati”.
In Laguna, prosegue la responsabile del progetto, si tratta per lo più di rifiuti urbani e pneumatici usati come parabordi dalle imbarcazioni. In mare, come emerso nell’intervento nello Jesolano, sono invece soprattutto rifiuti legati alla pesca, a partire da boe e cordame, come è stato comunicato anche alla locale Capitaneria di porto, a cui è stata trasmessa la documentazione raccolta, che è stata verificata da remoto, non richiedendo il robot una presenza fisica in loco.
Quanto al rifiuto ripescato, è stato smaltito in parte conferendolo a Veritas, la società che gestisce il ciclo dei rifiuti nel Veneziano, per la consegna alle ditte autorizzate secondo i criteri di legge, in parte affidandolo a un partner di progetto, la ditta Gees Recycling di Pordenone, che li ha destinati al riciclo. Per esempio, da cordame, boe e reti da pesca sono stati così ricavati pannelli per arredo urbano, sgabelli ed altri oggetti.
Gli obiettivi e i vantaggi del robot
Nella ricerca, anche attraverso l’interazione con gli enti locali, di nuovi finanziamenti per portare ora avanti il progetto, i responsabili si sono rivolti così anche alla stessa Veritas.
“La tecnologia- sottolinea la ricercatrice del Cnr-Ismar – ha dei costi e potrebbe essere migliorata, per renderla più efficiente, investendo per esempio sulla chiatta utilizzata, che può risultare più agile se resa più simile a una chiatta di trasporto. Ma, al tempo stesso, è già applicabile fin da subito”.
E il robot spazzino di Maelstrom, in grado di raggiungere 20 metri di profondità, presenta numerosi benefici. “In primis – riprende Fantina Madricardo – permette di rimuovere rifiuti, anche pericolosi, senza intervento diretto del personale. Il sistema è molto selettivo, grazie allo sviluppo incentrato sull’Ai portato avanti da nostri colleghi spagnoli e francesi: il robot può così andare da solo sull’oggetto target, riconoscerlo e rimuoverlo, senza distruggere o danneggiare i fondali”.
Ancora, grazie alla mappatura effettuata dal sistema, c’è una verifica puntuale dell’intervento georeferenziata, che consente di provare la rimozione degli oggetti e rende tutto tracciabile e documentabile a posteriori.
“È importante aver testato l’efficacia del sistema – aggiunge la coordinatrice – oltre che in mare, dove funziona meglio, anche in un ambiente al limite come la Laguna, dove l’acqua estremamente torbida di certo non aiuta le telecamere utilizzate”.
Le prospettive di utilizzo per affrontare un problema serio
Aver superato la sperimentazione consente così di pensare a un futuro utilizzo del sistema in ambiti molto diversi.
“Noi – afferma Madricardo – vorremmo continuare a Venezia, dove, come visto, sarebbero da fare interventi di questo tipo in molti canali cittadini del Centro storico. Ma ne vediamo una possibile applicazione, se si trovano i finanziamenti, in tutte le aree portuali, con acque non troppo profonde, dove c’è una problematica di accumulo di rifiuti nel tempo”.
Il robot spazzino e le barriere di bolle
È proprio con l’idea di un utilizzo più ampio delle numerose possibilità offerte dalle moderne tecnologie, del resto, che l’Unione Europea ha lanciato il progetto attraverso i due siti-pilota di Venezia e di Vila do Conde, in Portogallo.
Qui è stata installata, sul fiume Ave, una sorta di barriera di bolle d’aria che ha la capacità di intrappolare i rifiuti di plastica prima che raggiungano l’oceano, dove si calcola che ogni minuto ne finiscano tanti quanti ne può contenere un camion.
Un problema che, dunque, cresce di giorno in giorno, tant’è che gli scienziati ritengono che entro il 2040 possa triplicare la quantità di rifiuto plastico nelle acque libere. Oggetti, estremamente difficili da rimuovere, che minacciano non solo la vita marina, ma anche la nostra salute. Perché i depositi sui fondali rilasciano continuamente nell’ambiente quelle microplastiche di cui sempre più studi hanno riscontrato un accumulo nell’organismo umano.
Alberto Minazzi