Da una parte Marte, dall’altra Venere.
Le attenzioni dell’uomo sulla ricerca di vita nell’universo si concentrano sempre più sui pianeti del sistema solare più vicini alla Terra. E se la Nasa, così come l’Esa e l’agenzia spaziale cinese, si stanno dedicando in particolare all’approfondimento della conoscenza del “Pianeta rosso”, sono già 3 le missioni su cui ha iniziato a lavorare un consorzio scientifico guidato dal Mit che punta alla ricerca di segni di vita sul pianeta più vicino alla Terra, a una distanza media di 170 milioni di km contro i 254 milioni di km della distanza media di Marte.
E, come ha illustrato il report finanziato dalla Breakthrough Initiatives, l’obiettivo-Venere ha già una prima scadenza.
La missione “Rocket Lab” è infatti attualmente in fase di sviluppo, con la data di lancio già fissata per il 2023. La navicella spaziale si avvicinerà a una distanza tra 48 e 60 km dalla superficie venusiana, attraversandone le nubi per circa 3 minuti. Trasporterà strumenti scientifici in grado di rivelare tramite la fluorescenza, grazie a un raggio laser ultravioletto sparato sulle nuvole, l’eventuale presenza al loro interno di molecole organiche.
L’elevatissima temperatura della superficie di Venere, il più caldo pianeta del sistema solare, esclude infatti che vi si possano produrre i processi chimici alla base della vita conosciuti sulla Terra. Pur trattandosi di un ambiente estremo, vista l’acidità e la poca disponibilità di acqua, la presenza di forme unicellulari non può essere esclusa per le nubi presenti nella parte più alta dell’atmosfera del pianeta. Negli ultimi anni, sottolineano i ricercatori del Mit, sono del resto emerse alcune anomalie dell’atmosfera venusiana, che potrebbero suggerire la presenza di processi chimici ad oggi sconosciuti.
Se la prima missione rileverà della fluorescenza tra le nubi, per approfondire le indagini si procederà quindi, comunque non prima del 2026, con la seconda, la Venus Habitability Mission. In questo caso, sarebbe inviato nell’atmosfera di Venere un pallone sonda, posizionato per 2 a un’altezza di 52 chilometri dalla superficie, con altre quattro mini-sonde in grado di spingersi fino agli strati più bassi dell’atmosfera. Gli obiettivi sarebbero quelli di misurare l’acidità delle particelle che compongono le nubi, di rivelare l’eventuale presenza di sacche di vapore acqueo, oltre a cercare tracce dirette della presenza di forme di vita.
Infine, con orizzonte temporale 2029, anche se questa missione è al momento tutt’altro che sicura, la “Atmosphere Sample Return Mission” cercherebbe, attraverso l’utilizzo di un pallone sonda come campo base aereo, di raccogliere campioni di nubi da portare sulla Terra per studiarli in laboratorio.