“Sono assolutamente d’accordo con il presidente degli Stati Uniti Biden: nei confronti della variante Omicron, serve la massima attenzione, ma assolutamente non dobbiamo farci prendere dal panico”.
Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie infettive al Policlinico Gemelli di Roma e professore ordinario di Malattie infettive presso l’Università cattolica del Sacro Cuore lo afferma in modo molto pacato.
Su tutto ciò che al momento si sa della nuova variante, il condizionale resta d’obbligo.
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Professor Cauda, quanto si sa, al momento, della variante Omicron?
“Girano molte parole, ma in verità non sappiamo ancora molto. Le prime segnalazioni sono di inizio novembre, poi la comparsa è ufficialmente avvenuta in Sudafrica, dove hanno avuto il merito di sequenziare il virus e isolarlo. Ma non è detto che sia partito da lì”.
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Si parla di una variante del Sars-CoV-2 con un numero di mutazioni mai visto prima: lo conferma?
“Sì: le mutazioni sono oltre 50, di cui 32 solo sulla proteina spike. E alcune di queste 32 sembrano essere posizionate in punti critici per quanto riguarda il legame con gli anticorpi prodotti dai vaccini. In molti casi, anche se non tutti, si tratta di mutazioni già note, perché viste ad esempio nelle varianti Beta e Delta”.
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Quindi c’è un concreto rischio che gli attuali sieri possano non funzionare?
- “Le dichiarazioni dei vertici di Moderna su un verosimile calo dell’efficacia superiore a quanto registrato per altre varianti vanno prese con massima attenzione, perché provengono da una persone assolutamente autorevoli in materia. Ricordiamo però anche che si tratta di riflessioni derivanti dalla modellistica del virus e dal tipo di legame che si instaura con gli anticorpi. Diciamo insomma che c’è la possibilità che Omicron possa indurre una minor capacità di protezione del vaccino. Che, non dimentichiamolo, si basa sulla spike del virus iniziale di Wuhan”.
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Parla di possibilità: significa che potrebbe anche non essere così?
“In questo momento, il condizionale resta assolutamente d’obbligo.
Non si può nemmeno escludere che la nuova variante, alla fine, non produrrà nessun impatto clinico importante. I vaccini, cioè, potrebbero mantenere inalterata la capacità di protezione quantomeno dalle forme più gravi di malattia”.
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I primi riscontri sembrano mostrare che la malattia provocata da Omicron sia più lieve: cosa ne pensa?
“Le indicazioni che ci arrivano dal Sudafrica dicono che il Covid provocato da questa nuova variante si presenta in forma leggermente diversa: più che altro con molta stanchezza e altri sintomi che andranno comunque chiariti, ma sembra non con forme gravi. Anche in questo caso, però, sono solo le prime estrapolazioni sulla gravità della malattia. Bisognerà attendere un paio di settimane per avere dati più solidi. Anche perché l’età media della popolazione, in Sudafrica, è bassa e questo potrebbe giocare un suo ruolo”.
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I dati sudafricani vanno allora presi con le molle?
“I primi ragionamenti è giusto che partano da qui, perché sono più avanti con gli studi sulla variante Omicron, ma poi occorrono più informazioni per arrivare a conclusioni più sicure. Ad esempio, potrebbe anche essere che la maggior capacità di trasmissione risulti tale da consentire di scalzare la variante Delta, attualmente dominante”.
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Insomma: se fosse confermato che la malattia provocata dalla Omicron è lieve, potrebbe non essere una brutta notizia…
“È vero che la Delta provoca una malattia più grave, ma non è mai positivo trovarsi di fronte a un virus che è più capace di diffondersi.
Si è ipotizzato anche che chi si infetta con questa nuova variante possa sviluppare una sorta di “auto vaccinazione”. Anche su questo, però, aspetterei a trarre conclusioni, perché questo virus ha riservato molte sorprese, spesso sgradevoli”.
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Già adesso si può però trarre qualche conclusione?
“Il messaggio che arriva da questo momento è chiaro è forte: tutto il mondo non è al sicuro. Se vogliamo, è però anche un messaggio di solidarietà e unità dell’intero pianeta. Non è un caso che le nuove varianti arrivino dai posti laddove il virus perdura, come India o Sudafrica, dove le percentuali di vaccinazione sono molto basse. E c’è un elevato rischio che, colpendo in particolare gli immunodepressi, potenzialmente si sviluppino più mutazioni che poi possono essere mantenute. Perché è chiaro che finché la popolazione mondiale non sarà vaccinata in larga parte, siamo destinati inevitabilmente a veder apparire nuove varianti. Con possibili impatti sia sulla trasmissibilità che sulla stessa efficacia dei vaccini, perché è chiaro che il virus, replicandosi, si muta effettuando quelle correzioni che gli risultano più utili”.
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Che fare, dunque?
“In primis, dobbiamo avere pazienza, attendere qualche settimana, perché la scienza può dare risposte veloci, ma non immediate. Va controllato l’andamento epidemiologico e verificata la capacità dei vaccini di contrastare questa nuova variante. Per aggiornare i vaccini alle nuove mutazioni, ci vorranno 4-6 mesi, ammesso e non concesso che Omicron non si comporti diversamente da quanto fatto dalle precedenti varianti. Credo comunque che le industrie farmaceutiche abbiano qualcosa nell’ aria e che avessero già in programma di fare una sorta di “tagliando” ai loro vaccini sulla base delle varianti, avendo fin qui potuto basarsi solo sul virus originario di Wuhan”.
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Al di là della ricerca, cosa possono fare la politica e la gente comune?
“Su questo posso dare solo la mia opinione personale. Ritengo prima di tutto che in questo momento sia importante vaccinare chi ancora non lo ha fatto e procedere con le terze dosi. Anche perché penso che la dose booster possa comunque essere uno stimolo efficace nei confronti della proteina spike, anche se diversa. Poi, senza limitare la libertà di nessuno, anche perché i numeri sono in crescita preoccupante, ma ben diversi da quelli dell’anno scorso, sono assolutamente d’accordo col rafforzamento del Green Pass. Infine, fosse per me, tornerei all’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto”.
Alberto Minazzi