La campagna vaccinale contro il Covid-19 non sta decollando come auspicato, in tutta Europa, soprattutto a causa dei ritardi nelle forniture. L’Unione Europea, dunque, ha tenuto giovedì 25 marzo un summit in videoconferenza per decidere la strategia da adottare nei confronti delle case farmaceutiche.
la posizione dell’Italia, espressa dal premier Mario Draghi nel suo intervento al Consiglio europeo, è tra quelle più intransigenti.
La posizione dell’Italia e degli altri Paesi
Senza usare mezzi termini, il presidente del Consiglio avrebbe sottolineato come i cittadini europei abbiano la sensazione di essere stati ingannati da alcune aziende farmaceutiche. Per questo, Draghi ha auspicato che l’Europa non resti inerme di fronte alle inadempienze delle big pharma.
Sulla stessa linea italiana ci sarebbero anche Francia e Germania. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ribadito che la priorità è quella di aumentare la produzione e la distribuzione dei vaccini fin dalle prossime settimane, per raggiungere il 70% di immunizzazioni entro settembre.
Se tutti i Paesi concordano su questa posizione, posizioni più morbide sono state espresse da Belgio, Olanda, Svezia, Danimarca e Irlanda, preoccupati che un possibile intervento dell’Europa sul rafforzamento del meccanismo per l’autorizzazione all’export dei vaccini possa ulteriormente rallentare le consegne. Questo soprattutto perché l’approvvigionamento di alcuni ingredienti utilizzati nella produzione dei sieri avviene da Paesi estranei ai 27 dell’Unione. “Le dosi prodotte nell’Unione Europea saranno destinate all’Unione Europea” ha comunque precisato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
L’Europa e i ritardi nelle consegne
A finire nell’occhio del ciclone, ancora una volta, è soprattutto Astrazeneca, del cui vaccino mancherebbero all’appello già almeno 90 milioni di dosi. Per il primo trimestre, il contratto con la big pharma anglo-svedese prevedeva infatti la fornitura di 120 milioni di dosi. Dopo una riduzione a 30 milioni, quelle effettivamente consegnate sono invece 18 milioni, mentre Moderna sarebbe in linea con i 10 milioni pattuiti e Pfizer con i 65 milioni da contratto. E potrebbero essere 200 milioni le dosi di AstraZeneca mancanti nella prima metà del 2021, visto che la fornitura nel periodo potrebbe essere di 70 milioni anziché 180.
Il 4,1% della popolazione europea ha completato il ciclo vaccinale
“AstraZeneca deve recuperare sui suoi ritardi con gli Stati membri prima di potersi impegnare di nuovo nell’esportazione di vaccini“, ha dichiarato Von der Leyen, al termine del summit.
Secondo i dati della Commissione, le dosi dei vari sieri ricevute finora sono 88 milioni e ne sono state somministrate 62 milioni, con 18,2 milioni di persone (il 4,1% della popolazione) che avrebbe completato il ciclo vaccinale.77, invece, i milioni di dosi esportate. Per la fine del primo trimestre si conta di arrivare però alla consegna di almeno 106 milioni di dosi.
Altri 360 milioni, compreso Johnson & Johnson (55 milioni), sono attesi nel da aprile a giugno, tra i 200 di Pfizer e i 35 di Moderna.
AstraZeneca e il “caso” Anagni
Proprio AstraZeneca, nei giorni scorsi, era stata al centro di una nuova polemica. In seguito a una telefonata di Von der Leyen, il presidente Draghi aveva attivato un’ispezione dei Nas alla Catalent di Anagni, nel Frusinate. Nello stabilimento laziale risultavano infatti ferme 29 milioni di dosi di siero anti-Covid, probabilmente destinate al Regno Unito.
La casa farmaceutica ha poi chiarito che, del contingente dei vaccini, la destinazione erano i Paesi dell’Unione europea per 16 milioni di dosi, mentre i restanti 13 sarebbero andati ai Paesi Covax, ovvero i più poveri del mondo nell’ambito del progetto di collaborazione solidale. Il momentaneo stoccaggio sarebbe stato dovuto ai tempi necessari per il rilascio del controllo di qualità, visto che, dopo l’infialamento, il prodotto deve restare fermo una ventina di giorni in attesa dell’esito dei test batteriologici.
L’infezione dei vaccinati? Solo casi rari. Immunità a 14 giorni dalla seconda dose
Sul fronte vaccinale, ma in tutt’altra prospettiva (quella della ricerca scientifica), il New England Journal of Medicine ha intanto pubblicato una ricerca relativa al tema della possibilità di contrarre l’infezione da coronavirus per chi è già stato vaccinato. Il campione preso in esame dagli studiosi americani delle Università californiane di San Diego e Los Angeles è quello degli operatori sanitari che lavoravano presso le rispettive strutture sottoposti alla somministrazione di Pfizer o Moderna tra il 16 dicembre il 9 febbraio.
Quel che emerge dallo studio è che i vaccini non eliminano completamente il rischio di contrarre l’infezione, anche se questo avviene in rari casi. La percentuale di rischio assoluto di positività è stata dell’1,19% a San Diego e dello 0,97% a Los Angeles. 379 casi sono stati rilevati almeno un giorno dopo la vaccinazione, di cui 37 dopo la somministrazione della seconda dose. L’immunità è invece massima a 14 giorni dalla seconda dose, quando il rischio di contrarre l’infezione diventa ancor più marginale.
Alberto Minazzi