La ricerca del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza di Roma scopre la possibile efficacia specifica del farmaco talidomide contro il medulloblastoma
Per chi ha qualche anno in più, la talidomide, un sedativo, anti-nausea e ipnotico ampiamente utilizzato negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso come alternativa ai barbiturici, richiama alla mente un incubo vissuto dalle mamme dell’epoca.
Alla fine del 1961, il farmaco fu ritirato dal commercio in quanto si scoprì che l’assunzione in gravidanza provocava danni al feto, determinando gravi alterazioni congenite degli arti, specie superiori. I bambini, cioè, potevano nascere focomelici, con le ossa lunghe delle braccia di dimensioni ridotte, o addirittura privi degli arti.
Da tempo, la talidomide è stata rivalutata, essendo risultata utile e impiegata come chemioterapico per le cure di alcuni tipi di cancro, come il mieloma multiplo. Ed è proprio in campo oncologico che, adesso, arriva un possibile nuovo utilizzo del farmaco.
Come ha evidenziato uno studio del Dipartimento di Medicina molecolare dell’università Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista “Cell Death & Differentiation”, la talidomide sarebbe in grado di contribuire nel bloccare la crescita delle cellule del medulloblastoma, per contrastare anche la parte staminale del tumore, spesso causa del fallimento delle attuali terapie o della presentazione di recidive.
Il medulloblastoma: il tumore cerebrale più diffuso nell’infanzia
È da oltre un decennio che il gruppo guidato da Lucia Di Marcotullio porta avanti, nei laboratori della Sapienza, studi in campo oncologico mirati ad approfondire la conoscenza e la comprensione dei meccanismi molecolari, per identificare vie terapeutiche innovative. E uno dei tumori su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione è il medulloblastoma, forma tumorale particolarmente aggressiva.
Si tratta inoltre del tumore cerebrale maligno più diffuso in età pediatrica, con un’incidenza stimata dall’Airc di circa 7 bambini ogni milione colpiti dalla malattia. A provocarlo, all’interno del cervelletto, sono alterazioni molecolari del dna, che determinano un comportamento anomalo delle proteine coinvolte nella crescita e migrazione di cellule nervose.
La sopravvivenza, a 5 anni dalla diagnosi, supera di poco il 60% e al momento non sono note strategie efficaci per la prevenzione. Le terapie attualmente praticate associano chirurgia a radio e chemioterapia, con buone probabilità di guarigione, ma anche la possibilità di determinare effetti collaterali gravi, a partire dal rischio di disturbi cognitivi permanenti.
L’inibizione della proteina Sall4 nel trattamento del tumore
Per la prima volta, i ricercatori della Sapienza, premiati per la scoperta al 35° Meeting internazionale dell’Associazione italiana colture cellulari, hanno identificato il ruolo di una proteina, chiamata Sall4, come regolatore della via di segnalazione di Hedgehog, responsabile in condizioni non controllate dell’insorgenza di una vasta gamma di tumori ed essenziale per lo sviluppo embrionale.
Quando Sall4, spiega lo studio, si accumula in maniera anomala, interferisce con questa via di segnalazione, provocandone l’attivazione e la conseguente crescita tumorale. In questo processo, la talidomide è in grado di indurre, inibendola, la degradazione della proteina nei tumori che la esprimono in eccesso.
La scoperta di Sall4 come nuovo obiettivo per le terapie aggiunge dunque un tassello nella strategia di trattamento del medulloblastoma.
Al momento, gli studi clinici in corso, che stanno valutando la possibile efficacia per la cura dei tumori cerebrali della talidomide, si sono concentrati su un approccio multidisciplinare, che racchiude biologia molecolare, analisi di espressione genica, studi di interazione proteina-proteina ed esperimenti preclinici con topi di laboratorio.
“Il passaggio dai risultati della ricerca scientifica alla possibile applicazione dei pazienti – conclude la coordinatrice Di Marcotullio – si potrebbe tradurre in un beneficio pubblico”.
Alberto Minazzi