Bruno Cerella, campione in campo con l’Umana Reyer ma numero uno anche nell’aiutare i bambini dell’Africa
Bruno Cerella è amatissimo dalle tifoserie delle squadre in cui ha giocato e non è da meno Venezia, perché è un giocatore che in campo non si risparmia e dà sempre il 110%. Ma questa generosità è una qualità che l’esterno dell’Umana Reyer di origine argentina mostra anche al di fuori del parquet. Da diversi anni infatti Cerella, assieme all’ex compagno di squadra a Casalpusterlengo Tommaso Marino, porta avanti il progetto “Slums Dunks”, nome che abbina al gesto della schiacciata (slam dunk) il termine inglese “slums” che identifica i quartieri poveri del mondo, le baraccopoli. Il progetto infatti intende aiutare i bambini di alcune zone povere dell’Africa grazie allo sport.
«Volevo viaggiare per il mondo per conoscere altre culture – spiega Cerella – e per questo ho scelto un Paese che non fosse né l’Italia né l’Argentina. Volevo portare un contributo attraverso lo sport in luoghi in cui fosse davvero utile. All’inizio è nata come un’esperienza di vita, poi assieme a Marino abbiamo deciso di portare avanti questo progetto creando delle basketball academy che servissero come modello. Per questo la parte fondamentale della nostra attività è la formazione degli allenatori, la costruzione o la ristrutturazione di alcuni campi da basket e il coinvolgimento delle scuole, di solito primary e secondary school, che spesso non hanno la possibilità di far fare sport ai ragazzi, perché mancano le strutture, o il personale».
Si tratta di zone davvero povere, dove manca quasi tutto. Quanto valore pensi possa avere per questi ragazzi praticare un’attività sportiva? «Non è solo attività sportiva, ma anche formazione umana, perché riteniamo che lo sport sia un importante strumento e veicolo per poter educare i bambini che nascono in condizioni disagiate. Noi collaboriamo con onlus e fondazioni che si occupano di salute ed educazione scolastica, per cui si tratta di progetti molto articolati. Il nostro obiettivo non è insegnare ad un bambino a fare un canestro, ma migliorare le sue condizioni di vita».
Il fine ultimo non è certo quello di scoprire nuovi talenti per il mondo del basket professionistico, ma ci sono dei ragazzi che si sono messi in evidenza? «Uno degli scopi principali del progetto è offrire delle opportunità. Oggi abbiamo più di venti ragazzi che usufruiscono di borse di studio per merito sportivo. L’esempio più eclatante è quello di un ragazzo che oggi studia in un college negli Stati Uniti, ad El Paso. I nostri progetti continuano a crescere e siamo molto contenti di avere ora tre basketball academy, due in Kenya e una nello Zambia».
Un progetto davvero ampio che sicuramente coinvolge molto sia a livello di passione che di tempo. «Ogni estate mi organizzo in modo da poter essere lì per almeno quindici giorni, perché le attività vanno avanti tutto l’anno, ma il momento in cui andiamo noi è il momento in cui realizziamo degli eventi speciali e soprattutto facciamo il punto della situazione. La cosa bella è che siamo davvero una squadra, sia noi che chi sta in Africa. Nessuno comanda ma si lavora assieme in un percorso di crescita che arricchisce tutti. Io sono davvero fortunato di poter vivere la vita che sognavo grazie allo sport, che è sempre un gioco e un divertimento. Ovvio che per me è diventato un lavoro e ci sono delle pressioni, però vivere questa esperienza è la cosa più bella che mi sia capitata».