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Un nome, un volto: l'Influenza degli stereotipi sui tratti facciali

Un nome, un volto: l'Influenza degli stereotipi sui tratti facciali

La profezia autoavverante, l’influenza delle aspettative sociali e lo sforzo di conformità: ecco il volto umano

Che ci si chiami Paolo, Giovanni, Alberto, Maria o Claudia, il nostro nome è molto di più di un insieme di suoni o di un’etichetta.
Ogni nome porta infatti con sé una molteplicità di significati che si intrecciano e si sovrappongono, influenzando la percezione che gli altri hanno di noi e come noi stessi ci vediamo.
Per questo, studi psicologici insegnano, il nostro nome può determinare alcuni nostri comportamenti e il nostro modo di vivere.
Quel che ancora non si sapeva è che il nostro nome può anche influire sull’aspetto del nostro volto.
A rilevarlo è uno studio del 2024 della Hebrew University of Jerusalem secondo il quale nel tempo i visi finiscono per adattarsi al nome.
I ricercatori si sono chiesti se realmente esista una tendenza delle persone a “sembrare” il nome che è stato loro dato alla nascita.
Il team ha così scoperto che effettivamente esiste una relazione tra i nomi e l’aspetto degli individui.
A determinarla, hanno concluso gli autori dello studio, pubblicato su Journal of Personality and Social Psycholology, è quella che viene definita “profezia autoavverante”: ciò che ci fa assomigliare a quello che gli stereotipi sociali ci dicono di noi.

Nel tempo i volti si adattano al nome che abbiamo

Dimmi il tuo nome e ti dirò che volto hai, dunque.
Gli scienziati, per dimostrare l’influenza che i nomi avrebbero sull’aspetto delle persone hanno condotto una serie di esperimenti.

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Sfruttando l’effetto di abbinamento volto-nome, che dimostra la capacità di abbinare i nomi degli adulti ai loro volti è stato ipotizzato che gli individui avrebbero assomigliato ai loro stereotipi sociali (nome) in età adulta e non nell’infanzia, quando gli stereotipi sociali ancora non sono noti.
Per testare questa ipotesi è stato chiesto a bambini e adulti di abbinare volti e nomi mostrando delle fotografie, utilizzando tre metodologie di analisi: abbinamento volto-nome, apprendimento automatico e invecchiamento artificiale dei volti.

Bambini e algoritmo liberi da stereotipi

Gli adulti hanno dimostrato una maggiore capacità di abbinare correttamente i nomi ai volti degli adulti.
Quando però si trattava di bambini, sia gli adulti che i bambini non sono stai in grado di abbinarli con accuratezza, suggerendo che in questi ultimi non si manifesta la corrispondenza volto-nome.
L’algoritmo ha inoltre rilevato, e ciò non è stato riscontrato nei bambini, che le rappresentazioni facciali di adulti con lo stesso nome erano significativamente più simili rispetto a quelle di adulti con nomi diversi.
Nel momento in cui le immagini di volti dei bambini sono state invecchiate artificialmente per farli apparire come adulti non hanno mostrato la stessa corrispondenza volto-nome degli adulti reali.

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“Hai la faccia da Ugo”

La ricerca, testando due ipotesi di partenza, ossia che l’aspetto facciale delle persone con l’avanzare dell’età e l’esposizione a interazioni sociali evolva per adattarsi agli stereotipi associati al loro nome e la corrispondenza innata secondo la quale il nome di una persona verrebbe scelto in base al suo aspetto effettivo o previsto fin dalla nascita, riporta un po’ a una frase che a qualcuno di noi è già capitato di dire o di sentire: “strano… avrei detto che ti chiamassi Giovanni..”.
Una frase fino a oggi priva di radicamento scientifico ma che traduce in modo molto semplice ciò che lo studio ha dimostrato, ossia che esiste una corrispondenza tra volto e nome di ognuno di noi che si sviluppa nel tempo e che è conseguenza di aspettative socio-culturali e comportamentali che inducono a un inconsapevole -non sempre- sforzo di conformità.
Insomma: fattori quali l’acconciatura, il trucco e l’espressione facciale contribuiscono a modellare il volto di una persona in modo tale da rispecchiare lo stereotipo legato al suo nome.
Ecco allora che la profezia autoavverante si realizza.
Prima dello studio, lo aveva detto anche George Orwell:  “A 50 anni, ognuno ha la faccia che merita” . Ora possiamo dire che aveva ragione.

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