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Tutto quello che non sappiamo sul Mose

Tutto quello che non sappiamo sul Mose
Barriere mobili a scomparsa del Mose

Intervista a Giovanni Cecconi, direttore del servizio ingegneria, studi, monitoraggi, previsioni, comando e controllo del Mose e della Salvaguardia lagunare dal 1987 al 2015.

Le barriere del Mose si trovano sui fondali all’interno di cassoni che ospitano anche gli impianti per farle funzionare e che sono collegati tra loro da dei tunnel sottomarini utilizzati dai tecnici per le loro ispezioni.
Nel loro stato di stasi, le paratoie sono piene d’acqua, che viene vuotata con l’introduzione di aria compressa nel momento in cui diventano indispensabili per evitare alte maree eccezionali.
Una volta svuotate, le paratoie iniziano a salire per impedire al mare di entrare in laguna.
Restano alzate finché la marea cala nuovamente e si inabissano quando mare e laguna raggiungono lo stesso livello.
Ma il Mose non è solo una serie di chilometri di paratoie a scomparsa che si alzano impedendo all’Adriatico di entrare in laguna in caso di maree eccezionali.
E’ in realtà un sistema integrato di opere studiate per una difesa sinergica di Venezia.
Prima dei cassoni e della paratoie mobili conficcate nei fondali delle bocche di Porto di Lido, Malamocco e Chioggia, nella città storica sono stati rialzati e rinforzati 100 km di rive, ricalibrati 200 km di canali, sono state difese le sponde di 12 isole, realizzati 1600 ettari di nuove barene e velme e creati 56 km di nuove spiagge.
Abbiamo voluto andare a ritroso per scoprire come si è arrivati a tutto questo.
E l’abbiamo fatto intervistando Giovanni Cecconi, direttore del servizio ingegneria, studi, monitoraggi, previsioni, comando e controllo del Mose e della Salvaguardia lagunare dal 1987 al 2015.
Lui c’era. E c’è anche oggi, con l‘impegno di portare il Mose e le tecniche di salvaguardia idro-morfologica e ambientale nel mondo: a Jakarta,Tokio, Vietnam, India, Cina, Marocco, Tunisia, Slovenia, Croazia, Portogallo e ora Stati Uniti d’America.
A Venezia è fondatore e animatore di Venice Lab, laboratorio per la conoscenza della salvaguardia lagunare con la tecnologia del Mose nello spirito del “Learning with nature”.

Mose

 

  • Ingegner Cecconi, partiamo dall’acronimo: perché il Mose si chiama così?

Mose vuol dire Modulo Sperimentale Elettromeccanico. Si chiama così perché l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Luigi Zanda, dopo una settimana di riunioni con i consulenti, ha scelto questo nome per assegnarlo al primo dispositivo di prova di test di una paratoia. Il nome non ha avuto rivali perché questo modulo, come Mosè, divide le acque. In questo caso, all’occorrenza, quelle del mare da quelle della Laguna.

  • Chi è il padre del Mose?

Il padre del Mose secondo me è l’ingegner Ludovico Solinas, che lavorava per la Riva Calzoni e voleva brevettare la soluzione della paratoia a spinta di galleggiamento. In realtà c’erano già le idee nei libri di idraulica, dove si trovano dispositivi galleggianti per chiudere, per esempio, i bacini di carenaggio. E funzionano con lo stesso principio di pompare aria e con la spinta di galleggiamento. Ma la vera idea brillante è la sua modularità, che non è di Solinas.
Direi quindi che il Mose è frutto del pensiero di più persone che hanno messo insieme più ambiti di esperienza.

  • Il Mose è frutto di idee solo italiane o c’è stata una collaborazione internazionale?

Il Mose è frutto di idee solo italiane. Siamo andati all’estero a fare prove con modelli fisici per studiare particolari processi, come ad esempio l’erosione del fondale alle bocche se una paratoia non si solleva, al laboratorio di Delft in Olanda: se una paratoia non si solleva infatti si forma una forte corrente di 25 km/h concentrata nel varco ed è per questo che il fondale e’ protetto da una distesa di 400m di massi da 16t ciascuno.
L’ing. Alberto Scotti ha diretto il team di progettazione coinvolgendo sino a 2000 professionisti fra studi, sperimentazioni,  monitoraggi, progetti, computi  metrici e definizione dei costi; ma sotto la direzione di Giovanni Mazzacurati e dell’Ingegner Hermes Redi e dei consulenti del Comitato Tecnico Operativo.

Mose
Mose, Bocca di Porto di Chioggia
  • E’ vero che il Mose può salvare Venezia da maree eccezionali fino ai 3 metri?

Sì, il Mose può salvare Venezia da queste maree eccezionali e anche più alte perché, se anche dovesse essere scavalcato, non ci sarebbero danni: il volume dell’acqua che entrerebbe non sarebbe infatti tale da allagare la città: al più ci sarebbero pochi cm sui piani di calpestio più bassi, senza alcun danno alla paratoia.  Se la marea dovesse arrivare a 4 metri in mare, il Mose semplicemente si piegherebbe lasciando passare una quantità d’acqua limitata dalla durata del massimo livello.

  • Il Mose ha barriere a scomparsa. Perché è stata fatta questa scelta?

Le barriere a scomparsa sono state fortemente volute  da Luigi Zanda che aveva piena consapevolezza che il Mose non doveva interferire con le opere monumentali ed il paesaggio di bocca, altrimenti non avrebbe avuto alcuna possibilità di approvazione da parte dei funzionari della Soprintendenza.
Poiché nella zona più stretta, favorevole all’installazione delle opere mobili , insistono i forti storici, costruiti da Venezia per la difesa dagli attacchi dal mare e per il controllo del traffico in tempo di guerra, le paratoie sono state fatte sparire nella fondazione in calcestruzzo appoggiata al  fondale marino opportunamente consolidato  con pali.
Qualcuno, come l’ingegnere meccanico Arturo  Colamussi, amico di Mazzacurati, non era d’accordo con questa soluzione, che avrebbe richiesto  una intensa manutenzione. Propose così il “trenino”, una schiera di paratoie che invece di piegarsi e  scomparire sul fondale della laguna, traslava come un treno rifugiandosi in un bacino a lato del canale. Ma c’erano i forti storici della Repubblica di Venezia e cambiare sezione non si poteva per non aumentare il numero di paratoie  della schiera: ci fu una lunga notte in cui tutti i consulenti del CTO  furono riuniti ed  alla  fine scelsero la soluzione che più’ piaceva a Zanda e che era raccomandata anche dal  prof. Attilio Adami.

  • Quelle del Mose sono le prime barriere a scomparsa della storia?

Sì. Perché, ad esempio, quelle del Tamigi possono ruotare per fare manutenzione in aria e ci sono le pile intermedie che sono a una distanza di 60, pari al varco storico a monte in corrispondenza del ponte della London Tower. A Rotterdam invece ci sono due enormi scudi a settore circolare di 200 m di raggio, equivalenti alla soluzione della “barca porta” di Colamussi, che si muovono ruotando intorno a un grande bulbo sferico, per trovare rifugio in due grandi bacini laterali tenuti all’asciutto tra una manovra e l’altra.  Le opere, ben visibili nel porto petrolifero olandese, sarebbero difficilmente consentite nel contesto storico paesaggistico veneziano.

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  • Qual è il centro di ricerca che maggiormente ha contribuito a dare le specifiche del Mose così com’è ora?

L’ex Centro Sperimentale Modelli Idraulici di Voltabarozzo (PD), di proprietà del Ministero Lavori pubblici, in cui sono stati realizzati i modelli fisici dell’intera laguna e delle bocche di porto. E’ là che si è studiato come rendere le paratoie stabili  al moto ondoso e alle sesse, verificando che, anche per mareggiate estreme, non si innescassero oscillazioni di risonanza trasversale tali da far ribaltare la schiera.  L’allestimento dei modelli, la conduzione delle prove, l’analisi dei risultati è stata fatta dagli ingegneri della Protecno diretti dal prof. Attilio Adami. Io ho avuto la fortuna di essere testimone della vicenda che ha portato alla consapevolezza del problema accompagnando, nell’ottobre del 1992, a Voltabarozzo, il prof. Chiang C. Mei, luminare di idromeccanica al MIT di Boston, che era a Venezia per partecipare al convegno internazionale di ingegneria costiera. In quell’occasione Chiang Mei aveva notato che nel modello in scala 1:60 di Chioggia le paratoie si muovevano troppo!  Da lì poi è iniziata tutta una serie di adattamenti delle paratoie che ha permesso di renderle stabili aumentandone lo spessore.

  • Il Mose non è costituito solo dalla diga mobile con le sue paratoie. E’ un sistema integrato: quali lavori sono stati fatti in Laguna?

Innanzitutto lavori di protezione del litorale. In modo naturale, con la ricarica delle spiagge e le dune di sabbia, perché l’alternativa, per esempio a Pellestrina, era di aumentare l’altezza dei murazzi e nasconderli dietro una enorme scogliera di protezione dal moto ondoso, impedendo la vista del mare. A Pellestrina la difesa dall’erosione per sormonto delle onde e allagamento è fornita da una fascia di 30m di spiaggia emersa.

Altri  lavori hanno poi riguardato la navigazione, come richiesto  dal comitato comunale per rendere indipendente la difesa della città dai traffici portuali : a suo tempo qualcuno propose, in sostituzione delle “dentiere del Mose”, di prolungare e  incurvare i moli foranei, pensando così di poter fermare l’acqua alta come se fosse un fenomeno ondoso di breve periodo: si  faceva osservare infatti che le acque alte erano aumentate in frequenza e intensità in contemporanea con le opere portuali (moli e scavo dei canali)e dunque si concludeva, erroneamente, che piegando i moli e riducendo le profondità si sarebbe risolto il problema senza dover fare il Mose. Queste soluzioni, che ancora riverberano fra alcuni ambientalisti storici, non solo avrebbero compromesso la navigazione, per via del forte aumento delle velocità, ma non avrebbero affatto fermato le acque alte di maggiore entità e durata. Su questo argomento sono stati fatti 10 anni di studi con modelli matematici e fisici i cui risultati sono stati confermati dai monitoraggi degli effetti delle opere fisse realizzate durante altri 7 anni di cantiere dal 2003 al 2010.
Allora i consulenti comunali imposero di conformare le bocche in modo da ritornare alla capacità di portata storica con il volume d’acqua che entrava in laguna prima della costruzione dei moli: fu così che al Mose si aggiunsero le lunate e il sopralzo corrugato, la cosiddetta “scabrezza” del fondale a Malamocco.

  • Qualcuno diceva che sarebbe cambiato il giro dell’acqua, che alcuni luoghi della laguna ne sarebbero usciti trasformati. Com’è andata?

Il discorso relativo al cambio delle correnti si lega alla questione di ritornare alla capacità di portata che c’era prima della costruzione dei moli. La bocca di porto è stata trasformata in maniera tale da produrre lo stesso effetto che c’era prima della costruzione dei moli: “la conservazione della capacità di portata delle bocche” . Che era sì aumentata, ma solo del 4% . Così, invece di togliere i moli o restringere la bocca, si sono introdotte le lunate e il Mose nel 2003 è uscito dallo stallo delle 15 condizioni richieste dal comune: le lunate e i sovralzi, sì, e’ vero, per ridurre il flusso devono aumentare la velocità’ e con essa la perdita di energia: quindi più’ velocità’ ma meno volume totale di flusso di marea. Per capirci: e’ come quando si strozza un tubo dell’acqua per irrigare più lontano ma con meno volume.  Le lunate sono servite, anche e soprattutto, a ridurre drasticamente la penetrazione del moto ondoso attraverso le bocche, come si è avuto modo di apprezzare soprattutto a Chioggia.

  • Prima del Consorzio Venezia Nuova chi pensava alla difesa di Venezia?

Prima del Consorzio ci ha sempre pensato il Magistrato alle Acque. Il Consorzio è stato un male necessario, cresciuto così tanto e con così tante risorse che poi ha fagocitato il Mav riducendone la capacità’ di controllo.
Il Magistrato alle Acque era in grado, comunque, attraverso i membri del CTO di controllare le soluzioni proposte dal Consorzio Venezia Nuova e soprattutto di controllare i prezzi.
La nascita del Consorzio Venezia Nuova è andata però a colmare la necessità di affrontare la salvaguardia come questione complessa da risolvere con soluzioni non settoriali ma integrate, come poi è’ stato fatto sin dal progetto REA : Riequilibrio ed Ambiente. Non solo l’idraulica e la morfologia o l’inquinamento, ma anche questioni legate alla sociologia, allo sviluppo del porto e all’ambiente.

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  • Chi ha rotto gli indugi sul Mose?

E’ stato Silvio Berlusconi, appena eletto, con il piano di apertura dei cantieri in Italia. Tra quei cantieri c’era il Mose, in stand by da tanto tempo. Con pragmatismo, rispetto al timore, all’attesa e all’inazione, ha deciso di dare il via a un’ opera  grande, non una grande opera (motto di Salini)

  • Com’è nata l’idea di un’agenzia per Venezia con consulenza di esperti internazionali?

Luigi Zanda in quel periodo aveva già relazioni e scambi molto fitti con l’Europa e in Europa e nel mondo ha mandato delle persone, me compreso, a studiare, assieme al centro ricerche della Fiat, le conoscenze da porre alla base del monitoraggio e della gestione delle baie, come la Chesapeake Bay in USA, e  le grandi lagune costiere.
Abbiamo visto cosa stavano facendo, come si concertavano le azioni dei vari enti territoriali, con una conoscenza condivisa e piani di azione integrati.
Nei primi anni il Consorzio è vissuto producendo circa 20 milioni di euro di studi all’anno. Poi, con i lavori, gli studi e i progetti del Mose, la produzione è diventata di alcune centinaia di milioni. Prima dell’arrivo dei tre commissari si erano raggiunti i 500 milioni l’anno per poi crollare, in 7 anni di commissariamento, ad appena 5-10 milioni, situazione che poi ha portato al rischio di blocco del Mose per fallimento del Consorzio Venezia Nuova e alla grande acqua alta del 12 novembre 2019, con i Commissari ancora senza un Mose operativo.
Nel 2022 invece “l’acqua granda” è stata pienamente domata, 204 cm in mare, dal Mose in funzione grazie al Commissario Elisabetta Spitz, che in qualche modo è riuscita a porre rimedio alle non poche grane amministrative legate all’ insolvenza del Consorzio per mancata produzione.
Lodevole è lo sforzo del commissario liquidatore di non disperdere le speciali competenze dei tecnici del Consorzio Venezia Nuova per farle confluire nella ritardata Agenzia, mentre si mette a punto il sistema di previsione comando e controllo con più’ automazione, si mettono in servizio le conche di navigazione e si avvia finalmente con 10 anni di ritardo la manutenzione delle paratoie.

  • Rispetto ai cambiamenti climatici il Mose per quanto potrà funzionare e restare all’avanguardia nel mondo?

Il Mose non ha a breve il problema di perdere un primato. Non solo sta funzionando tenendo l’acqua in tutte le condizioni sotto quota 110, ma continuerà a farlo per almeno altri 50 anni, un periodo minore rispetto alla vita utile progettuale dei 100 anni, ma molto più’ intenso con almeno il doppio dei danni evitati grazie al suo esercizio per acque alte sempre più’ frequenti.
Certo, se il livello del mare è destinato a crescere, è necessario lavorare anche alle soluzioni  dopo Mose e  Venice Lab , insieme a prof. Adami lo sta facendo riprendendo uno studio del 1991 con cui si pensava di racchiudere Venezia dentro una laguna più’ piccola e regolata …. Ma di questo parleremo prossimamente.

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