Negli Usa progettato un vaccino anticancro basato su batteri modificati, mentre un team internazionale coordinato dall’Università Tor Vergata identifica una molecola antivirale che neutralizza la capacità infettiva del virus
“Immunoterapia” e “antivirali” sono termini medici che, negli ultimi anni, sono diventati noti a sempre più persone.
Si tratta, del resto, di due dei principali ambiti in cui la ricerca medica sta lavorando per spingere sempre più in là il limite dove possono arrivare le terapie contro alcuni tra i mali più diffusi nella società moderna.
E i risultati, fortunatamente, stanno continuando ad arrivare.
Pensiamo al cancro. Uno studio della Columbia University di New York, pubblicato su Nature, apre ora alla possibilità di creare vaccini personalizzati contro i tumori basati su batteri modificati geneticamente.
E poi i virus. Il nuovo risultato raggiunto da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Università di Roma Tor Vergata, pubblicato su Biology Direct, è un antivirale efficace per il Covid ma potenzialmente anche per altri agenti infettivi.
Dai batteri la speranza contro i tumori
Lo studio dei ricercatori statunitensi, che hanno sperimentato la strategia su topi con cancro al colon retto avanzato e melanoma, presenta una promettente forma di immunoterapia in campo oncologico.
I batteri probiotici, progettati in laboratorio modificando geneticamente un ceppo di E. coli, sono infatti in grado di istruire il sistema immunitario a distruggere le cellule tumorali.
Sfruttando le proprietà naturali di questi germi si può dunque pensare a realizzare una nuova classe di vaccini microbici anticancro, dimostratisi nei test più efficaci di quelli a base di peptidi utilizzati nei precedenti studi.
I nuovi vaccini, oltretutto, potrebbero essere personalizzati per attaccare il tumore primario, le metastasi e prevenire future recidive, progettandoli e ingegnerizzandoli per colpire le specifiche mutazioni genetiche delle cellule tumorali.
Sui modelli murini, il vaccino ha potenziato il sistema immunitario, ristrutturandone e attivandone in modo coordinato tutti i rami e inducendo così una risposta antitumorale produttiva attraverso la codificazione di bersagli proteici chiamati neoantigeni. L’organismo è stato così in grado di fermare la crescita di tumori e metastasi, arrivando in molti casi a eliminarli, senza intaccare le parti sane del corpo.
In particolare, hanno sottolineato i ricercatori, il vaccino batterico ha mostrato un ottimo funzionamento su modelli avanzati di tumori solidi particolarmente difficili da trattare con altre immunoterapie, prolungando la sopravvivenza dei topi. Il lavoro prosegue per l’ottimizzazione della sicurezza ma si avvicina il momento della sperimentazione anche sull’uomo, attraverso il sequenziamento del cancro nel paziente e l’identificazione dei neoantigeni.
La molecola che protegge da Covid-19 e altri virus
Il risultato contro il Covid raggiunto dal team che comprende anche l’Università Federale di Rio de Janeiro (Brasile), l’Istituto di Scienze Biomediche della Difesa (Roma), l’Università di Mons (Belgio), l’Università della Louisiana (Usa), in collaborazione con Sapienza, Coni e Università di Urbino, è stato raggiunto utilizzando una metodologia bioinformatica, chimica, e biologica.
I ricercatori sono così arrivati a identificare e caratterizzare una nuova molecola capace di legarsi simultaneamente a una proteina del virus Sars-CoV-2 e a una dell’ospite, neutralizzando la capacità infettiva del virus.
Il farmaco appartiene alla nuova classe di composti, già utilizzati in oncologia e nelle terapie per le malattie cardiovascolari, chiamati “farmaci gemelli”, in quanto progettati per portare contemporaneamente l’attacco a due distinti obiettivi.
Un approccio innovativo che punta a migliorare l’efficacia terapeutica, migliorare le proprietà farmacocinetiche e ridurre al minimo gli effetti collaterali, sfruttando gli effetti sinergici dei farmaci combinati.
La nuova molecola, che impedisce l’ingresso del virus nelle cellule ospiti, ha mostrato una certa efficacia antivirale contro le varianti di Omicron e potrebbe portare allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per combattere anche altri virus.
“Interrompere il dialogo tra le proteine – sottolinea Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata e coordinatore dello studio – è fondamentale per non consentire al virus di sfruttare le nostre cellule per fare copie di sé stesso e disseminarle”.
La molecola, aggiunge Federica Sangiuolo del laboratorio di Novelli, “abbassa significativamente i livelli di diverse citochine pro-infiammatorie, riducendo così il rischio di una reazione spropositata dell’ospite all’infezione. Ciò la rende particolarmente efficace come antivirale a largo spettro, somministrabile anche per aerosol”.
Alberto Minazzi