La nuova frontiera per migliorare la sopravvivenza arriva da uno studio della Commonwealth University
Ogni anno, nel mondo, il carcinoma delle ovaie colpisce oltre 250 mila donne causando 140 mila vittime.
E’ il sesto tumore più diagnosticato e la prima causa di morte per tumore ginecologico.
In Italia i numeri sono significativi con 5 mila nuovi casi ogni anno e 37 mila donne che convivono con questo tumore.
Ad esserne colpite sono soprattutto le donne tra i 50 e 70 anni, circa una donna su 70.
Se la diagnosi e il trattamento sono tardivi, come avviene nella maggior parte dei casi, le forme maligne del tumore alle ovaie possono intaccare i tessuti e gli organi limitrofi come intestino e milza e arrivare ai linfonodi addominali e altri più lontani oltre a diffondere le cellule maligne nel sangue.
Oggi dalla Commonwealth University si apre una nuova frontiera per il miglioramento della sopravvivenza quando il tumore è in fase precoce, diagnosticandolo con un test delle urine.
Il nemico silenzioso
Mediamente intercorrono tre anni tra l’insorgenza del carcinoma alle ovaie e le sue manifestazioni.
Essendo la malattia asintomatica, quando ci si accorge di averla è quasi sempre troppo tardi.
L’elevata pericolosità e l’alta mortalità dipendo proprio dal fatto che la diagnosi nei tre quarti dei casi avviene in uno stadio avanzato, vale a dire quando la massa tumorale si è già estesa alla cavità addominale o in possibili metastasi. Per questo la possibilità che si possa arrivare a diagnosticarla in tempo è un significativo passo avanti per la sopravvivenza delle donne.
Lo studio della Commonwelath University ha preso il via da una precedente ricerca che aveva dimostrato che ci sono migliaia di piccole molecole, chiamate peptidi, nelle urine delle donne con cancro ovarico.
E ha aperto alla possibilità che un test delle urine possa permettere la diagnosi precoce del cancro alle ovaie e consentire di conseguenza di iniziare e poi concludere con maggiore successo il percorso curativo.
Un miglioramento del 50-75% nella sopravvivenza
Il team di esperti, utilizzando la tecnologia dei nanopori, che ha la possibilità di rilevare contemporaneamente più peptidi, ha messo a punto un nuovo metodo per individuarli e ottenere la misurazione di diverse proprietà delle molecole che li attraversano. Gli scienziati hanno identificato e analizzato 13 peptidi, tra i quali quelli derivati da un biomarcatore, LRG-1, trovato nelle urine dei pazienti con cancro ovarico.
Secondo i ricercatori, il sistema apre a una nuova frontiera per lo sviluppo di un test semplice e low cost che, combinato con altre informazioni quali i test del sangue, l’ecografia transvaginale e la storia familiare, possa migliorare la diagnosi precoce di questo tipo di tumore.
I dati clinici ai quali ha portato questo studio dimostrano infatti un miglioramento del 50-75% nella sopravvivenza a 5 anni quando i tumori vengono rilevati nelle loro fasi più precoci.