L’arcipelago delle carceri: aumentano i suicidi. Ma può esserci ancora un futuro oltre il mare
“Ogni prigione è un’isola”, titola il suo nuovo libro sul mondo del carcere Daria Bignardi.
E le crediamo: per trent’anni ha inserito, tra gli altri suoi impegni di giornalista, visite un po’ in tutti gli istituti di pena d’Italia. Intessendo rapporti con le persone detenute, intervistandole, così come intervistando l’altra parte del mondo delle patrie galere: quella fatta degli agenti penitenziari, dei direttori e delle varie associazioni che vi gravitano attorno.
Tra queste ultime, anche “Nessuno tocchi Caino” torna sul concetto di isola della Bignardi. Sottolineando che oltretutto non tutte le carceri sono uguali.
Troppi suicidi nelle carceri italiane
Isolotti diversi dispersi nel territorio, ciascuno con le proprie caratteristiche benché tutti figli della stessa legge, i 189 istituti di pena del Paese contavano a marzo, 60 mila 924 persone tra uomini e donne detenuti.
Tanti, troppi per le capienze di ciascuna casa circondariale o di reclusione che sia.
I problemi che vi si riscontrano sono noti: suicidi e sovrappopolamento in primis.
Solo nei primi mesi del 2024 si sono uccise in carcere ben 28 persone. E tre agenti penitenziari.
Nell’intero anno precedente i suicidi sono stati 69 e 84 nel 2022.
E anche qui ci sono carceri e carceri.
Nel carcere Montorio di Verona, dal primo gennaio a marzo si sono uccisi addirittura in 5.
L’avvocato Franco: “dobbiamo chiederci perché”
“Il problema è reale e conclamato -commenta l’avvocato veneziano Andrea Franco, consigliere nazionale di Nessuno tocchi Caino – Di fronte alla Camera Penale veneziana abbiamo installato un conta-suicidi e siamo già a 28 nei primi tre mesi dell’anno. Dobbiamo chiederci perché. Il problema principale è il sovrappopolamento, certo. A Santa Maria Maggiore, a Venezia, per esempio, i detenuti sono 220 a fronte dei 170 che la struttura dovrebbe ospitare. Ma ci sono anche altri fattori da considerare. Il 99% dei carcerati, per esempio, assume psicofarmaci, perché non c’è supporto psicologico e, soprattutto, pochi lavorano e non perché non vogliano”.
Quello del lavoro è il tema chiave attorno al quale ruota l’intera questione.
E a dirlo non sono solo le persone ma gli stessi dati.
Il recupero passa attraverso il lavoro
In Italia, la percentuale di chi, uscito dal carcere, ritorna a delinquere, cambia radicalmente a seconda che si tratti di ex detenuti impegnati in un lavoro che poi ritrovano fuori ed ex detenuti mai impegnati in programmi di formazione e di lavoro.
Tra i primi, la recidiva si attesta tra il 2 e il 3%. Tra i secondi arriva addirittura al 70%.
“Sono dati importanti e molto indicativi – sottolinea Andrea Franco – Non solo riguardo al reinserimento, che secondo quanto stabilisce la nostra Costituzione è l’obiettivo finale della carcerazione ma anche riguardo il fenomeno dei troppi suicidi che avvengono in carcere. Sta infatti proprio nel lavoro la chiave di lettura di molti di questi, soprattutto di quelli che avvengono a fine pena, per coloro che hanno potuto magari usufruire di benefici penitenziari”.
La disperazione d’ingresso e d’uscita
Dovrebbero essere felici. La privazione della libertà è praticamente agli sgoccioli, possono tornare alle proprie vite. Ma cosa hanno lasciato fuori e cosa ritrovano quando escono?
“Spesso non hanno una famiglia che li riaccolga, non hanno un lavoro, una casa. Non hanno prospettive. E subentra la disperazione”, chiosa Franco.
Quella di affrontare la realtà.
Ma è disperazione anche quella dei primi ingressi, magari di giovanissimi.
“Ora che è stata ripristinata la custodia cautelare per piccolo spaccio, per esempio, a finire in carcere sono spesso ragazzi giovanissimi, che spesso fanno a loro volta uso di droghe – spiega ancora il consigliere di Nessuno tocchi Caino -. Hanno 18, 20 anni e si trovano catapultati in un ambiente in cui appunto un supporto psicologico non c’è, dove, come per esempio accade a Venezia, c’è una guerra tra bande di diversa nazionalità”.
Che aprono un fronte su un ulteriore problema del mondo carcerario, sempre più ampio quanto a nazionalità e sempre più privo di strumenti che possano accompagnare l’integrazione e favorire la pace sociale.
“A questo proposito qualcosa si potrebbe fare introducendo la figura del mediatore culturale – dice ancora l’avvocato Franco -. La guerra tra bande molto spesso è legata anche al fatto che ci sono comportamenti culturali che vanno conosciuti”.
La recidiva
Il mondo carcerario è divisivo. Non solo dentro, anche fuori.
Così, se c’è chi sostiene che si debba lavorare sul recupero favorendo politiche di reinserimento, c’è anche l’altra parte della medaglia che punta sulla certezza della pena anche per i reati cosiddetti minori per la pace sociale nelle città degradate dallo spaccio e dai furti quotidiani.
Ma c’è un punto imprescindibile che accomuna le posizioni e sono i dati.
Se la recidiva è del 70% tra i detenuti che nel corso della loro carcerazione non sono stati impiegati nel lavoro e nella formazione e si ferma invece al 3% per coloro che invece si sono impegnati imparando un mestiere, guadagnando uno stipendio consentendo anche una progettualità e insieme una rinnovata fiducia nel futuro, la chiave di volta si chiama lavoro.
Solo 2400 detenuti risultano occupati
E sono ancora i dati a indicare la ragione per la quale nelle città spaccio, furti, rapine e altri reati sono all’ordine del giorno.
Tra coloro che vengono arrestati e portati in carcere, solo pochi trovano la possibilità di ricominciare.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia aggiornati al 29 febbraio 2024, infatti, sul totale della popolazione carceraria di 60 mila 924 persone, sono 2400 risultano occupati.
Per tutti gli altri, il passo verso il ritorno alla delinquenza non solo è breve ma, viste le percentuali di recidiva, praticamente scontato.
In attesa che la burocrazia interferisca meno sulle nuove assunzioni e che le cose cambino, alcune direzioni si organizzano.
Isole diverse, diverse opportunità di futuro
“Ora a Santa Maria Maggiore – racconta Andrea Franco – è stata aperta una pelletteria. Ma nuovo lavoro lo darà anche la digitalizzazione della biblioteca, che il nuovo direttore, Enrico Favina, giovane e motivato, sta facendo fare puntando a un duplice obiettivo: dare e insegnare ai detenuti un lavoro che potrà essere speso anche fuori e recuperare spazi che possono ridurre la sovrappopolazione carceraria”.
Sempre a Venezia, anche le detenute del carcere femminile della Giudecca sono impegnate in vari ambiti. In occasione delle celebrazioni dei 700 anni dalla scomparsa di Marco Polo, per esempio, hanno confezionato i costumi per i 500 bambini delle scuole della città partecipanti al progetto culturale “Alfabeto Marco Polo Venezia Istanbul” ideato dall’associazione Venezia Pesce di Pace di Nadia De Lazzari.
Cappucci, tuniche, e pazienze sono stati realizzati con lavori a turni anche durante le festività pasquali per consegnare per tempo i costumi per i bambini. Chi non fa lavori di cucito si dedica agli orti e ad altre attività.
“Ogni prigione è un’isola”, scrive Daria Bignardi nel suo libro sul mondo carcerario.
Ma se le isole sono diverse, portano in sé i presupposti della discriminazione. Perché laddove non ci sono opportunità lavorative i carcerati non solo non possono ottenere i benefici della scarcerazione anticipata ma non hanno alcuna chance di recupero.
“Dove ci sono più opportunità di lavoro ci sono anche più opportunità di futuro”, asserisce Andrea Franco. Nelle isole maschili e femminili i problemi sono analoghi.
La situazione delle carceri femminili in Veneto
L’ultimo rapporto del Garante regionale dei diritti della persona pubblicato per il Veneto il 31 marzo 2023, per esempio, evidenzia che nelle carceri femminili della regione si supera la media nazionale della popolazione carceraria con una percentuale del 5,04% in più.
Le detenute sono collocate nel carcere femminile di Venezia e nell’ICAM (istituto di custodia attenuata per madri detenute insieme ai loro bambini) della Giudecca, nel Centro di prima accoglienza collegato all’IPM (istituto penitenziario minorile) di Treviso, nella sezione dedicata del carcere maschile di Montorio di Verona e nella sezione per donne TRANS di Belluno.
Di fatto, in Italia solo quattro sono carceri esclusivamente femminili (Pozzuoli (NA), Roma, Trani e Venezia) mentre le altre sono sezioni di istituti circondariali maschili.
Il tasso di sovraffollamento è del 125,06% a fronte a una media nazionale del 110,43% e, soprattutto a Verona, si sono verificati diversi casi di suicidi e di autolesionismo.
“Con i miei occhi”. L’arte in carcere
La situazione migliore si registra nel carcere femminile della Giudecca, dove le detenute sono impegnate in varie attività e, da alcuni mesi, sono anche coinvolte dalla realizzazione del Padiglione Vaticano per l’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.
Proprio nel carcere femminile di Venezia, infatti, è stato allestito il Padiglione della Santa Sede e il 28 aprile, in occasione dell’apertura della 60° edizione della Biennale, vi arriverà anche Papa Francesco.
Realizzato in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e a cura di Chiara Parisi e Bruno Racine, il Padiglione vaticano, che vanta la partecipazione speciale di Hans Ulrich Obrist, ospiterà opere di artisti di fama internazionale.
Non è un caso che il Padiglione della Santa Sede sia quest’anno in un carcere, un mondo che sta a cuore al Santo Padre. Il progetto realizzato nel Padiglione Vaticano porta il titolo “Con i miei occhi” ed è dedicato proprio ai detenuti, locatari di mondi marginalizzati, dove i nostri occhi raramente arrivano o guardano.
In realtà, ha detto Papa Francesco in un video indirizzato ai carcerati, come tante volte nella vita troviamo una mano che ci aiuta a sollevarci, anche noi dobbiamo tenderla sempre.
“C’è gente con il cuore parcheggiato da aiutare – ha sottolineato – Tutti sbagliamo nella vita. L’importante è non rimanere sbagliati. E il Signore dà sempre l’opportunità di fare un passo avanti”.
Consuelo Terrin