Il Petrarca Rugby: molto più di una squadra sportiva. Per Padova, il club campione d’Italia, è una vera istituzione che ha insegnato a far squadra anche fuori dal campo
L’altro giorno il capo dei carabinieri di Padova mi ha detto “complimenti Toffano, siete il fiore all’occhiello della città”. In molti lo pensano e, senza sbrodolarci, facciamo di tutto per meritarcelo, ma se pensate al Petrarca di Memo Geremia siete fuori strada. La vera sfida è tradurre quell’esempio nel mondo d’oggi».
Enrico Toffano ha un bel da fare, come presidente del Petrarca. Il suo è molto di più del club campione d’Italia di rugby. Vanta dodici scudetti, 400 tesserati e 2000 sostenitori, un impianto sportivo invidiato da tutta Italia e il miglior settore giovanile del movimento. Per capire cosa sia davvero, dietro i numeri, bisogna fare i conti con Memo. Guglielmo Geremia è stato uno dei più grandi dirigenti sportivi del Dopoguerra. Allievo del collegio Antonianum, fu tra i fondatori, nel 1947, del club bianconero; per vent’anni giocò pilone e poi, per altri 15 anni, fu la guida tecnica e il grande organizzatore del club. Era una confraternita, più che una squadra, con forti valori condivisi, impregnati nei decenni di permanenza al Collegio. Chi voleva giocare sotto i mitici «Tre Pini» doveva dimostrare di meritarlo, fuori dal campo prima che dentro. Niente vita sregolata, buoni voti a scuola, fede. Memo ti accompagnava agli esami dell’università, ti guardava male se portavi i capelli lunghi. Ti aiutava a trovare il lavoro, e se la tua ragazza non gli piaceva te lo faceva capire. Per lui lo sport era passione e testimonianza di fede, un mezzo per far crescere le nuove generazioni. I suoi obbiettivi andavano al di là degli scudetti. Il suo capolavoro è stato la realizzazione, nel 1989, del centro sportivo della Guizza, un vero e proprio gioiello per il rugby italiano.
Memo è morto nel 1995, e per uno strano disegno del destino, in quell’anno il rugby abbracciò il professionismo. Da allora i successori han perso il sonno chiedendosi come rispettarne l’insegnamento, mentre i tempi cambiavano. «In campo vogliamo essere competitivi al massimo livello, ma oggi chi studia deve scegliere o una, o l’altra cosa – riprende Toffano –. Nicolò Borgato a maggio ha vinto il campionato con noi, ma poi ci ha salutato. La specializzazione gli permette di giocare in serie C e di farsi qualche corsa sull’argine».
Il Petrarca mantiene l’ambizione di essere competitivo in Eccellenza e, anche in un contesto di «professionismo straccione» (così lo definì un ex presidente del club, Andrea Rinaldo), per vincere il campionato i soldi servono. Per finanziare l’attività, Memo aveva costruito una rete di contatti in città, tra ex allievi dell’Antonianum e altri notabili, che garantivano i mezzi per l’attività agonistica e le sponde giuste per la crescita del club. «Esserci spostati da Prato della Valle alla Guizza ci ha un po’ tagliato fuori – spiega Toffano –, ma il Petrarca resta un’istituzione rispettata perché trasparente nel non avere fini di lucro. Abbiamo rapporti con tutti, dall’avvocato all’industriale, ma da anni spingo per un ritorno a quel lobbismo positivo che Memo era riuscito a creare tra gli anni Settanta e Ottanta. La conquista dello scudetto ci ha aiutato, in giro per la città c’è un sacco di gente con la nostra maglia, anche se poi allo stadio abbiamo 200 paganti, oltre ai soliti 500-600 abbonati».
Il settore giovanile resta l’orgoglio del club. Il vivaio è il posto ideale dove coniugare sport e formazione, come voleva Memo Geremia. Anche qui, però, bisogna trovare risposte diverse a domande diverse. «Negli anni Cinquanta i bambini avevano i calzoni corti, oggi arrivano al campo col telefonino. Nel 2012 il primo pensiero è la qualità tecnica e umana degli educatori. Perché anche loro sono figli di questi tempi, ed è difficile trovare qualcuno che sappia vivere lo sport esclusivamente come sport, e non come un mezzo per arricchirsi. Cerchiamo di spingere i ragazzi a studiare, ad andare bene a scuola, ma se hai un pilone fenomeno la partita dell’anno gliela fai giocare, anche se il giorno prima ha preso quattro in matematica». Memo, da lassù, chiuderà un occhio.
DI SIMONE BATTAGGIA
Sport +
TRADIZIONE E SPIRITO ANTICO
12 Marzo 2012
Tag: Padova