Anfore romane, relitti carichi di antichi marmi a centinaia di metri di profondità del mare.
Tanti tesori nascosti del nostro passato che ora, grazie a un progetto di ricerca del dipartimento di archeologia marittima dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, possono contribuire a raccontare parte della nostra storia.
Raggiunti con l’ausilio di un piccolo robot subacqueo telecomandato in grado di scendere a 2000/4000 metri di profondità, ispezionati e ripresi da più angolazioni grazie all’innovativa tecnica fotogrammetrica automatica che elabora modelli tridimensionali partendo da immagini bidimensionali, i preziosi reperti aprono il sipario su un passato di commerci e di culture diverse. Che si incontravano nelle curve di un’anfora e nel comune apprezzamento di prodotti probabilmente vinicoli e oleari del nostro Paese.
Trait d’union, il mare, che l’archeologia marina sta contribuendo a rendere sempre meno misterioso ma che sorprende sempre per ciò che continua a custodire intatto nel tempo.
Dae 37 custodita da una fossa
E’ il caso dei relitto perlustrato dalla dottoressa in archeologia marittima Elisa Costa, allieva del docente di Ca’ Foscari Carlo Beltrame, scesa nella fossa a 640 m del mar Tirreno che l’ha perfettamente conservato nel tempo. Dae 37, così si chiama, era una nave romana inabissatasi II sec a.C. – I sec a.C.
Era stata individuata nel 2018.
La spedizione della dott.ssa Elisa Costa e di Guido Gay, fondatore di Azionemare, ingegnere e inventore del robot che ha permesso di fare le riprese e le foto del fondo oceanico, aveva l’obiettivo di ispezionarla e prelevare, a scopo di studio e campionamento, due anfore del tipo Dressel 2-4.
Archeologia e ingegneria per le scoperte marine
A bordo del catamarano Daedalus, l’imbarcazione progettata da Gay simile a uno scafo a vela di lusso ma di fatto un concentrato di ingegneria marittima di altissimo livello, gli archeologi hanno raggiunto a poche miglia a nord ovest dell’isola della Gorgona il relitto.
A individuare la posizione esatta ha contribuito lo stesso Daedalus, dotato di un sonar che permette di rilevare i relitti sui fondali marini e di un sistema di posizionamento dinamico che gli consente di rimanere fermo in mezzo al mare senza ancorarsi grazie a un computer.
Le straordinarie immagini riprese dall’equipe mostrano bene i blocchi squadrati di marmo, probabilmente provenienti dalle cave di Carrara, in particolare un grande blocco lungo 8 m, largo 3.5, alto più di 2 dal peso di oltre 100 t. e altri blocchi squadrati per circa ulteriori 150 t.
Soprattutto, le immagini hanno ben evidenziato alcune anfore Dressel 2-4 che, una volta riportate in superficie e dissalate, hanno consentito agli esperti di dare una datazione anche della nave inabissata.
Quel relitto conservato perfettamente grazie alla fossa che per millenni l’ha custodito, era una nave di epoca repubblicana (II sec a.C. – I sec a.C.) che proveniva presumibilmente dal porto di Luni ed era diretta a Roma. Le due anfore, proprietà della Sovrintendenza di Pisa, sono tuttora a Capraia e allo studio degli esperti .