Al Museo delle Culture di Milano, dal 28 marzo al 28 luglio, è visitabile la mostra “Tatuaggio. Storie dal Mediterraneo”
E’ un gesto apparentemente semplice quello di fare imprimere sulla pelle un simbolo, un’immagine, una scritta per dire qualcosa di noi.
In realtà, nasconde una storia lunga cinquemila anni e porta con sé tantissimi significati. L’Italia è oggi al primo posto tra le nazioni con il numero più elevato di persone tatuate, ben il 48% della popolazione adulta.
Seguono la Svezia con il 47% e gli usa 46%. Quello dei tatuaggi, pur essendo un fenomeno sociale e culturale recente, ha una tradizione antica che pochi probabilmente conoscono.
Proprio per svelare come sono nati, per far conoscere le pratiche e la ritualità ad essi legata e le espressioni di questa forma artistica che si ritrova in qualsiasi epoca e in ogni angolo del mondo, al MUDEC di Milano è stata inaugurata la mostra “Tatuaggio. Storie dal Mediterraneo”. Iniziando quindi laddove ne sono state trovate le prime tracce: il bacino del Mediterraneo.
Il progetto espositivo
La mostra, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore e curata dalla massima esperta italiana di storia del tatuaggio, Luisa Gnecchi Ruscone, valorizza attraverso una sapiente composizione grafica e multimediale una ricca documentazione di oggetti, reperti storici, strumenti, materiali sonori, videoinstallazioni, infografiche, stampe, incisioni, testi e riproduzioni provenienti da diverse istituzioni e raccolte museali. Quanto visibile nell’allestimento espositivo arriva, tra gli altri, dal Museo Archeologico dell’Alto Adige, il Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso dell’Università di Torino, il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari di Roma e Il Museo Pontificio, delegazione Pontificia per il Santuario della Sanata Casa di Loreto, oltre alle collezioni private del Queequeg Tattoo Studio & Museo di Gian Maurizio Fercioni a Milano. I visitatori attraverso un racconto storico-culturale si trovano immersi in un viaggio che ripercorre alcune tappe fondamentali della storia del tatuaggio dalla preistoria ad oggi, in particolare concentrandosi sull’area mediterranea, ma esponendo anche materiali di provenienza extra europea.
Una storia lunga cinquemila anni
Da gesto pratico a segno di appartenenza o di distinzione, il tatuaggio racconta una storia di simbiosi tra corpo e disegno, uomo e simbolo che nel corso dei millenni ha assunto via via forme, significati e funzioni differenti. La sua è una storia antica quanto quella dell’uomo, considerato che le prime testimonianze documentabili di tatuaggi risalgono all’epoca preistorica.
Tutto parte da Otzi, il più antico uomo tatuato il cui corpo, in stato di mummificazione naturale, sia stato finora ritrovato e arriva poi agli antichi Egizi con la testimonianza della mummia della donna tatuata di Deir El Medina. La pratica del tatuaggio oltre che in Egitto era diffusa anche tra i Greci e i Romani e sia la Bibbia che il Corano ne prevedevano l’esplicito divieto.
Tuttavia, pur se le autorità ecclesiastiche la proibivano, il tatuaggio devozionale è stato sempre praticato dai primi cristiani e dai più devoti pellegrini cattolici in Terra Santa, in Itala e in Europa, arrivando a una significativa diffusione nel Seicento e nel Settecento.
Tra la metà del XIX e gli inizi del XX secolo con gli antropologi criminali quali Cesare Lombroso e Alexandre Lacassagne e altri il tatuaggio assunse una connotazione negativa e fu associato ai marginali,ai carcerati e ai deviati. Soltanto negli utili decenni la pratica dei tatuaggi sul corpo ha subito un’evoluzione che li ha resi una modifica del corpo socialmente accettata, oltre che estremamente popolare.
Il tatuaggio moderno
Il percorso della mostra prende il via dalla contemporaneità in un collage di esperienze raccontate da tatuatori e tatuatrici di oggi che introducono alla scoperta della sua storia.
Nel mondo occidentale, nella forma in cui è oggi conosciuto, il tatuaggio moderno nacque quando il navigatore, esploratore britannico James Cook (1728-1779) portò con sé dalla Polinesia il primo uomo dal corpo tatuato, il principe Omai presentandolo alla corte d’Inghilterra.
Da quel momento la frenesia di tatuare il corpo contagiò molti sovrani come anche buona parte dell’alta società europea e americana, mentre i marinai che avevano imparato l’arte nelle isole del pacifico aprivano i primi tattoo shop nei porti d’Europa e sull’altra sponda dell’Atlantico.
In esposizione non mancano ampi approfondimenti su tatuaggi particolari come quelli de “il segno di Caino” che rivelavano l’appartenenza alle corporazioni di mestiere diffusi tra gli artigiani medievali e gli straordinari reperti provenienti da Loreto, Gerusalemme, il Levante e altri luoghi di culto che rivelano la profondità delle relazioni tra corporeità e devozione religiosa. Tra gli approfondimenti anche gli studi che Cesare Lombroso e gli antropologi criminali italiani fecero sui detenuti e i loro tatuaggi; gli studi sui tatuaggi delle berbere algerine, delle donne copte e delle rifugiate curde che vivevano nei campi profughi di Suruc in Turchia. E non manca la presentazione di un tattoo studio old-style.