È la principale misura contenuta nel Def, approvato dal Governo, che ha tracciato anche gli obiettivi economici a medio termine
È quella del primo taglio al cosiddetto “cuneo fiscale”, ovvero la riduzione dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, la strada principale che il Governo ha scelto nel breve termine “per sostenere la ripartenza della crescita segnalata dagli ultimi dati, nonché per il contenimento dell’inflazione”.
Per il momento, invece, non sono previste novità né sul sistema pensionistico (si va verso la proroga di “quota 103”) né sulla riduzione delle aliquote Irpef.
Il primo passo e i successivi obiettivi
Il Documento di Economia e Finanza (Def) 2023, approvato nella riunione del Consiglio dei Ministri dell’11 aprile, annuncia dunque un “provvedimento di prossima adozione” che stanzierà oltre 3 miliardi a valere sul periodo maggio-dicembre di quest’anno, finalizzati proprio al taglio del cuneo.
“Ciò sosterrà il potere d’acquisto delle famiglie e contribuirà alla moderazione della crescita salariale”, precisa il comunicato di Palazzo Chigi.
Gli stipendi saranno dunque un po’ più corposi.
Il primo Def del Governo Meloni ha comunque guardato anche al medio termine, delineando i 3 principali obiettivi programmatici della politica economica e di bilancio.
“Il Governo – ha dichiarato ufficialmente il premier, Giorgia Meloni – oggi ha tracciato la politica economica per i prossimi anni, una linea fatta di stabilità, credibilità e crescita. Rivediamo al rialzo con responsabilità le stime del Pil e proseguiamo il percorso di riduzione del debito pubblico. Sono le carte con le quali l’Italia si presenta in Europa”.
Cuneo fiscale: circa 300 euro in più per gli stipendi
Il provvedimento sul cuneo fiscale, pagato per due terzi dalle imprese e per un terzo dai lavoratori, è reso possibile dal mantenimento dell’obiettivo di deficit esistente (4,5%), a fronte di una stima di deficit tendenziale per l’anno in corso fissata dal Def in una quota pari al 4,35% del Pil.
Concretamente, stima il quotidiano “Il Resto del Carlino”, questo si tradurrà, per la fascia di reddito fino a 25 mila lordi annui, in un aumento tra 25 e 30 euro al mese degli stipendi, pari a 300-360 su base annua.
“Questa decisione – sottolinea la nota di Palazzo Chigi – testimonia l’attenzione del Governo alla tutela del potere d’acquisto dei lavoratori e, al contempo, alla moderazione salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”.
Una strategia che, nei proclami del Governo, sarà probabilmente mantenuta anche per il 2024, visto che la differenza tra deficit tendenziale mostrato per il prossimo anno dalle proiezioni di finanza pubblica (3,5%) e l’obiettivo di un deficit al 3,7% del Pil creerà un nuovo “spazio di bilancio”. Che, spiega l’Esecutivo, “sarà destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, al finanziamento delle cosiddette “politiche invariate” e alla continuazione del taglio della pressione fiscale nel 2025-2026”.
Gli obiettivi di medio termine
Il principale cambio di strategia rispetto alle politiche economiche e di bilancio dei precedenti Esecutivi inserito nel Def riguarda il primo dei 3 obiettivi programmatici a medio termine.
Il Governo, infatti, intende rinunciare gradualmente “ad alcune delle misure straordinarie di politica fiscale attuate negli scorsi tre anni”, individuando, nel contempo, “nuovi interventi a sostegno dei soggetti più vulnerabili e per il rilancio dell’economia”, puntando sulle risorse liberate grazie alle misure fiscali straordinarie.
Il secondo obiettivo dichiarato dal Governo è quindi “la riduzione graduale, ma in misura sostenuta nel tempo, del deficit e del debito della pubblica amministrazione in rapporto al prodotto interno lordo”.
In tal senso, sono confermati gli obiettivi di indebitamento netto in rapporto al Pil già dichiarati a novembre dal Governo nel Documento Programmatico di Bilancio (Dpb): 4,5% nel 2023, 3,7% nel 2024 e 3% nel 2025. Viene quindi posto al 2,5% l’obiettivo per il 2026.
Infine, il Governo punta a un “sostegno alla ripresa dell’economia italiana volto a conseguire tassi di crescita del Pil e del benessere economico dei cittadini più elevati di quelli registrati nei due decenni scorsi”.
I numeri del Def
La previsione di crescita tendenziale a legislazione vigente del Pil nel 2023 è dunque del +0,9%, superiore al +0,6% del Dpb, al +1,4% nel 2024 (con un ribasso rispetto al +1,9% del Dpb), al +1,3% nel 2025 e al +1,1% nel 2026.
Nello scenario programmatico, si parla di un +1% quest’anno e +1,5% nel prossimo.
Al riguardo, va ricordato che la crescita, nel 2022, è stata del +3,7%, ma con un rallentamento congiunturale nella seconda parte dell’anno, anche se l’economia sembra essere ripartita a inizio 2023.
Nell’anno appena concluso, il rapporto tra debito pubblico e Pil si è intanto attestato al 144,4% (-1,3% rispetto al Dpb), con una previsione di discesa al 142,1% nel 2023 (nonostante l’impatto negativo in tal senso del Superbonus), che proseguirà progressivamente fino al 140,4% nel 2026. La pressione fiscale nel 2023 sarà del 43,3%, con una previsione di calo fino al 42,7% entro il 2026.
Alberto Minazzi