Coldiretti denuncia: nel Paese in guerra, sempre più imitazioni dei nostri prodotti. Ma restano gli Usa a trainare un giro d’affari mondiale da 120 miliardi
Il nome che fa più sorridere, non provando in pratica nemmeno a mascherare a chi mastica la nostra lingua il fatto che si tratti di un’evidente imitazione di uno dei tipici prodotti alimentari italiani, è la “pizza Sono Bello Quattro Formaggi”.
Ma è solo uno dei tanti esempi di falso Made in Italy immessi sul mercato da ditte russe.
Perché, sottolinea Coldiretti, arriva proprio dalla Russia la vera nuova frontiera internazionale delle imitazioni dei tradizionali prodotti agroalimentari tricolori, con la crescita più alta nell’ultimo anno.
Un settore il cui giro d’affari, nel mondo, è salito fino a toccare complessivamente i 120 miliardi di euro, con sempre gli Stati Uniti che continuano a fare la parte del leone.
Il Made in Italy russo a tavola
I nomi dei finti prodotti italiani è lungo e variegato. Si tratta principalmente di formaggi e salumi, come il “Russkiy Parmesan”, prodotto nel territorio di Stavropol, a base di latte pastorizzato maturato 12 mesi, che presenta una consistenza dura molto simile al Parmigiano Reggiano e un gusto e un aroma intensi specifici.
E poi Montasio, pecorino, mozzarella, ricotta, mascarpone, robiola.
Ancora diversi tipi di salame Milano, di mozzarelle ciliegine, di scamorze, e altre specialità “russo-nostrane” come insalata toscana e una non meglio specificata “Buona Italia”. Tutti provenienti da fabbriche specializzate nella lavorazione di latte e carne per produzione di imitazione di formaggi duri e molli e salumi per sostituire quelli originali.
In questo, indubbiamente, ha inciso la guerra in Ucraina e il conseguente embargo commerciale che ha impedito il flusso delle esportazioni in precedenza soddisfatto da aziende agroalimentari italiane, favorendo la diffusione del fenomeno per soddisfare le richieste della popolazione.
Tant’è che il sindacato russo dei produttori lattiero-caseari Soyuzmoloko ha stimato che la produzione di formaggio russo sia quadruplicata, raggiungendo i 47 miliardi di rubli (600 milioni di dollari), di cui una discreta fetta è rappresentata proprio dai prodotti simil italiani.
La leadership americana nel Made in Italy “tarocco”
Al momento, i più elevati fatturati per le produzioni di falso Made in Italy, che tolgono spazio e valore sui mercati ai veri prodotti nostrani, restano comunque quelli degli Usa: oltre 40 miliardi. Coldiretti sottolinea, per esempio, che il 90% dei formaggi di tipo italiano in vendita negli Stati Uniti sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, con una produzione che ha superato nel 2022 i 2,7 miliardi di kg, facendo così segnare un nuovo record.
Anche qui i nomi vanno da quelli tradizionali, come Asiago e Gorgonzola, a imitazioni: dal “Parmesan” al “Romano” (prodotto però senza latte di pecora), fino all’improbabile “Fontiago”, mix tra Asiago e fontina. I finti formaggi italiani sono diffusi al punto di aver superato, in quantitativi prodotti, gli stessi formaggi tipici americani (cheddar, colby, monterrey e jack), fermi a 2,5 milioni di kg.
Se l’industria casearia è indubbiamente la più performante, non vanno però dimenticati altri “tarocchi” statunitensi, come l’olio Pompeian o le imitazioni dei prosciutti Parma e San Daniele, della mortadella Bologna o del salame Milano.
L’Italian sounding alimentare nel mondo
Non c’è in ogni caso angolo del pianeta esente dalla tentazione di imitare il Made in Italy alimentare. Coldiretti stima che oltre 2 prodotti tricolori su 3 sono falsi, senza alcun legame produttivo con il nostro Paese, con un effetto sull’occupazione di 300 mila posti di lavoro potenziali persi per il dilagare dell’agropirateria. Basti pensare che i formaggi-copie, a partire da Parmigiano Reggiano e Grana Padano, sono prodotti ormai in quantità superiori rispetto agli originali.
Ecco allora i sudamericani Parmesan, Parmesano, Parmesao o Reggianito. Ma anche Grana e imitazioni di provolone, gorgonzola, pecorino romano, Asiago o fontina. Accanto a falsi prosciutti di Parma e San Daniele e mortadelle di Bologna, tra i più clonati risultano anche il salame cacciatore, gli oli extravergine d’oliva e le conserve, come quella di pomodoro San Marzano. E non si salvano nemmeno i vini, dal Chianti al Prosecco. Tra il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova.
Alberto Minazzi