La situazione carceraria è allarmante. Continua a crescere il numero di coloro che si tolgono la vita. Il paradosso: spesso accade quando sono in attesa di scarcerazione
Quattro suicidi in 24 ore. Uno ogni sei.
Quarantaquattro dall’inizio dell’anno.
Nelle carceri italiane si muore. Di propria mano e sempre più di frequente.
“La situazione è allarmante”, si legge in un documento sottoscritto dal comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa: “le misure adottate finora dalle autorità non sono riuscite ad arrestare l’allarmante tendenza negativa dei suicidi in carcere, osservata dal 2016 e proseguita nel 2023 e all’inizio del 2024”.
Una situazione che viene denunciata anche da varie associazioni nazionali tra cui il sindacato carcerario, Antigone e Nessuno Tocchi Caino.
“Il problema è reale e conclamato -commenta l’avvocato veneziano Andrea Franco, consigliere nazionale di Nessuno tocchi Caino –Dobbiamo chiederci perché. Il problema principale delle carceri è il sovrappopolamento, certo. Ma ci sono anche altri fattori da considerare. Il 99% dei carcerati, per esempio, assume psicofarmaci, perché non c’è supporto psicologico e, soprattutto, pochi lavorano e non perché non vogliano”.
Accertamenti in corso da parte del Garante
Quello del lavoro è il tema chiave attorno al quale ruota l’intera questione.
E a dirlo non sono solo le persone ma gli stessi dati.
I 189 istituti di pena del Paese contavano a marzo, 60 mila 924 persone tra uomini e donne detenuti.
Tanti, troppi per le capienze di ciascuna casa circondariale o di reclusione che sia.
Da gennaio a oggi si sono tolte la vita 44 persone. E tre agenti penitenziari.
Nell’intero anno precedente i suicidi sono stati 69 e 84 nel 2022.
Sugli ultimi quattro di ieri sono in corso accertamenti anche da parte del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà.
Sotto la lente d’ingrandimento, anche la custodia cautelare in carcere.
Dei 44 detenuti che si sono uccisi, infatti, 16 erano in attesa di giudizio. Altri erano in attesa di scarcerazione.
Due situazioni che aprono due scenari di riflessione diversi, legati a due tipi di disperazione.
La disperazione d’ingresso e d’uscita dal carcere
Il suicidio di chi è prossimo a uscire è il più difficile da spiegare.
Chi infatti è in questa situazione dovrebbe essere felice. La privazione della libertà è praticamente agli sgoccioli, può tornare alla propria vita. Ma cos’ ha lasciato fuori e cosa ritrova quando uscirà?
“Spesso queste persone non hanno una famiglia che li riaccolga, non hanno un lavoro, una casa. Non hanno prospettive. E subentra la disperazione”, spiega il consigliere nazionale di Nessuno tocchi Caino Andrea Franco.
In Italia, la percentuale di chi, uscito dal carcere, ritorna a delinquere, cambia radicalmente a seconda che si tratti di ex detenuti impegnati in un lavoro che poi ritrovano fuori ed ex detenuti mai impegnati in programmi di formazione e di lavoro.
Tra i primi, la recidiva si attesta tra il 2 e il 3%. Tra i secondi arriva addirittura al 70%.
“Sono dati importanti e molto indicativi – sottolinea Andrea Franco – Non solo riguardo al reinserimento, che secondo quanto stabilisce la nostra Costituzione è l’obiettivo finale della carcerazione ma anche riguardo il fenomeno dei troppi suicidi che avvengono in carcere. Sta infatti proprio nel lavoro la chiave di lettura di molti di questi, soprattutto di quelli che avvengono a fine pena, per coloro che hanno potuto magari usufruire di benefici penitenziari”.
L’altro tipo di disperazione è quella “d’ingresso”. Che spesso riguarda giovanissimi.
“Ora che è stata ripristinata la custodia cautelare per piccolo spaccio, per esempio, a finire in carcere sono spesso ragazzi giovanissimi, che spesso fanno a loro volta uso di droghe – spiega ancora il consigliere di Nessuno tocchi Caino -. Hanno 18, 20 anni e si trovano catapultati in un ambiente in cui un supporto psicologico non c’è, dove spesso c’è una guerra tra bande di diversa nazionalità. A questo proposito qualcosa si potrebbe fare – dice Franco -introducendo per esempio la figura del mediatore culturale: la guerra tra bande molto spesso è legata anche al fatto che ci sono comportamenti culturali che vanno conosciuti”.
Il recupero passa attraverso il lavoro
Il mondo carcerario è divisivo. Non solo dentro, anche fuori.
Così, se c’è chi sostiene che si debba lavorare sul recupero favorendo politiche di reinserimento, c’è anche l’altra parte della medaglia che punta sulla certezza della pena anche per i reati cosiddetti minori per la pace sociale nelle città degradate dallo spaccio e dai furti quotidiani.
Ma c’è un punto imprescindibile che accomuna le posizioni e sono i dati.
Se la recidiva è del 70% tra i detenuti che nel corso della loro carcerazione non sono stati impiegati nel lavoro e nella formazione e si ferma invece al 3% per coloro che invece si sono impegnati imparando un mestiere, guadagnando uno stipendio consentendo anche una progettualità e insieme una rinnovata fiducia nel futuro, la chiave di volta si chiama lavoro.
Ma tra coloro che vengono arrestati e portati in carcere, solo pochi trovano la possibilità di ricominciare.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia aggiornati al 29 febbraio 2024, infatti, sul totale della popolazione carceraria di 60 mila 924 persone, solo 2400 risultavano occupati.
Il ministro Nordio: “limitare la carcerazione preventiva e intervenire per chi è stato condannato per reati minori ed è vicino al fine pena”
Il problema dei suicidi in carcere è stata affrontata dallo stesso ministro Carlo Nordio nel corso del convegno “Senza dignità” che si è tenuto a Roma nell’aprile scorso.
“Dobbiamo superare il sistema carcerocentrico e il sovraffollamento che è fonte di suicidi – ha detto in quell’occasione Nordio – Non di certo con un’amnistia, che rappresenta il fallimento dello Stato e verrebbe negativamente compresa dai cittadini: quello che occorrerà fare è limitare la carcerazione preventiva e intervenire nei confronti di quelle persone condannate per reati minori e vicine al fine pena e per i tossicodipendenti”.
Dall’associazione Antigone arriva anche la richiesta di un maggior uso di misure alternative.
Serve però trovare degli sbocchi lavorativi per i quali si stanno adoperando anche alcune agenzie per il lavoro, tra cui Umana.
Favorire il reinserimento nel tessuto sociale
È di lunga data la collaborazione di Umana per esempio con i detenuti delle due carceri veneziane, maschile e femminile e con la Cooperativa Rio Terà dei Pensieri, con cui in passato sono stati generati corsi di ortocoltura, taglio pelli e serigrafia che hanno permesso alle persone di sviluppare competenze spendibili nel mercato.
Recentemente, con la Casa Circondariale di Venezia, è stato attivato anche un protocollo per costruire percorsi formativi ai detenuti relativi ai temi della Sicurezza sul lavoro, percorsi indispensabili sia per lavori svolti all’interno del perimetro carcerario, sia per un futuro professionale dopo la detenzione.
È ancora in corso, racconta Umana, un progetto iniziato nel 2023, biennale, “Fuori dal muro, mai fuori luogo” con il carcere di Piacenza. In questo contesto l’obiettivo della formazione è stato quello di supportare i detenuti in uscita a reinserirsi all’interno della comunità attraverso lo sviluppo di tre direttrici: inserimento lavorativo, reinserimento nella società, ricerca di un alloggio. Dedicato a 30 persone, Umana accompagnerà 15 di queste nell’inserimento lavorativo. Percorsi di orientamento al lavoro sono stati attivati anche con la Casa Circondariale di Padova. Ancora, un accordo è stato siglato nel 2023 con l’amministrazione penitenziaria di Opera, Cgil, Cisl, Uil, ESEM CPT (Ente Unificato Formazione e Sicurezza), Galdus, Comunità Nuova Fondazione Don Gino Rigoldi, insieme al capoprogetto Assimpredil Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) per la formazione edile intramuraria e l’inserimento lavorativo extramurario di alcuni detenuti del Carcere di Milano.