Viaggio tra paesaggi unici, corsi d’acqua e antichi mulini che hanno plasmato il territorio del basso trevigiano. Un libro restituisce voce e dignità a un patrimonio culturale e naturale in parte perduto
Che l’Italia sia colma di paesaggi “unici nel suo genere”, è ormai più che risaputo.
La conformazione territoriale e il microclima mediterraneo hanno consentito al Belpaese di prosperare nella biodiversità dei luoghi, nei panorami, nelle sfumature dei paesaggi che si susseguono tra pianure, colline e montagne.
Proprio grazie alla loro stretta coesione, a partire dal basso trevigiano, trova luogo un reticolo di piccoli fiumi di risorgiva, ai cui corsi si è aggiunta, per secoli, la vita dell’uomo, fatta di macine, farine, e pale spostate dall’acqua.
A raccontare quest’area, grande poco più di 1200 km2, sono lo storico e scrittore Mauro Scroccaro, e il fotografo Giorgio Bombieri, con il libro Sei fiumi per 70 mulini. Usi e gestione dei fiumi di risorgiva nella storia delle province di Padova, Treviso, Venezia.
Il Sile e i suoi fratelli
Tra i sei fiumi del titolo, il Sile è certo il più importante: con i suoi 84 km di lunghezza, è considerato il risorgivo più lungo d’Europa. A completare il paesaggio, i suoi fratelli: lo Zero, il Dese, il Marzenego, il Muson vecchio e il Tergola.
Insieme, compongono la Fascia, o Linea, delle “risorgive del bacino idrografico della media pianura trevigiana”, e tutti sfociano, in un modo o nell’altro, nella laguna di Venezia.
“È esattamente questo il paesaggio unico nel suo genere: un’area di 30×40 km, nell’entroterra veneto, con una intensa presenza di corsi d’acqua dalla portata particolarmente regolare, molto vicini tra loro. Questo ha reso l’area particolarmente produttiva a livello agricolo, da un lato, e più che idonea alla costruzione di mulini, dall’altro” spiega Mauro Scroccaro – .Guardandomi attorno, e guardando il territorio, mi sono accorto che i corsi d’acqua suggerivano un rilevante frangente storico. Ho scoperto quindi che ci sono, nell’area, più di 70 mulini sparsi, i quali si presentano in una unitarietà che merita di essere restituita in quanto tale”.
Il Mulino, punto di riferimento delle antiche comunità
È stato facile, per Mauro Scroccaro, riconoscere un’area caratterizzata dalla toponomastica riferita ai mulini stessi; basti pensare alle tante località chiamate Molino, Mulino, Molinella, Munaron, o ai cognomi delle famiglie Munaro, De Munari, Munaretto. La costruzione dei mulini “di risorgiva” – una volta più di cento, e distribuiti sui sei fiumi – si è protratta dal Medioevo fino a raggiungere l’apice tra il Cinquecento e il Seicento; il loro lavoro, tra macinatura e attività di artigianato, ha continuato a esistere fino agli Sessanta del secolo scorso, per essere infine soppiantato dalle trasformazioni industriali, da un lato, e sul piano paesaggistico dalla costruzione della “città diffusa veneta”, dall’altro.
Insieme, mulini e fiumi di risorgiva, raccontano di una “cultura sociale quasi autarchica; la quantità di mulini ne rappresenta l’essenza, perché i contadini nelle loro forme di attività – proprietà, mezzadria, bracciantato – dovevano ricorrere al mulino vicino a casa per macinarsi la farina. Il mulino era un punto di riferimento nel quale la piccola comunità trovava il suo incontro, alla pari di chiesa e osteria, e il mugnaio ne era il punto di convergenza”, spiega Scroccaro.
La macina “in esclusiva” per Venezia
“Al tempo, era impossibile per un contadino comprare la farina; si coltivava le sue granaglie e le portava a macinare; da qui provengono le immagini retoriche del mugnaio che faceva la “cresta” sulla quota macinata e messa da parte, e del rapporto dubbioso tra conferitore e lavoratore. La cosiddetta “cresta” era un dato di fatto: gli stessi mulini del basso Sile, che lavoravano in esclusiva per la città di Venezia, erano controllati dai Savi Esecutori alle biave, in un modo così puntuale e sistematico da suggerire che vi fossero tentativi di ricavare qualcosa in più. La stessa Repubblica, infatti, comperava i grani, li insaccava, e partendo da Venezia risaliva il Sile, per macinare le proprie granaglie”.
L’importanza della gestione dei corsi d’acqua
I X Savi Esecutori, magistratura istituita appositamente dalla Serenissima nel 1512, erano preposti al controllo e alla cura del territorio, di modo da salvaguardare la laguna, evitandone l’interramento a opera dei fiumi che vi sfociavano. La loro opera si concentrò naturalmente anche sui mulini, i quali rappresentavano una vera e propria strozzatura al corso d’acqua. Un approccio di controllo e di attenzione che si è paradossalmente perso, negli anni, con l’avvento dell’industrializzazione, e di cui ci sarebbe un gran bisogno, ora.
“Anche oggi, con i cambiamenti climatici, la gestione dei corsi d’acqua è un problema fondamentale. Non può e non deve mancare un approccio cautelativo. Vuol dire imparare a rispettare i fiumi, a ridare loro una naturalità, così come ha fatto negli ultimi vent’anni, per esempio, il consorzio di bonifica Acque Risorgive, con i tanti interventi di messa in sicurezza sui corsi d’acqua da loro gestiti”, riferisce Mauro Scroccaro. “I corsi d’acqua presentano ancora elementi di valorizzazione, nonostante siano stati spezzettati; vedo che quello che si è salvato e si sta salvando – penso anche al parco del Marzenego – valorizza e dà una prospettiva di valore aggiunto a questo bacino fluviale”.
Tra i mulini veneti: alcuni elementi iconici del paesaggio
Quel che rimane oggi, dell’area dei fiumi di risorgiva e dei loro mulini, è una sorta di stato “elitario”. Molti di questi sono stati restaurati e sono diventati abitazioni, altri hanno sviluppato attività ricettive.
Su alcuni è stata mantenuta l’attività molitoria, ma senza nessuna rilevanza industriale, soppiantati dall’energia elettrica e dalle industrie. Vi sono degli esempi virtuosi, come il mulino di Cervara, a santa Cristina di Quinto, e quello del Molinetto della Croda, nel comune di Refrontolo, dove le strutture sono state acquistate dagli enti locali e completamente restaurate, diventando un elemento iconico del paesaggio.
È un po’ l’unità di questo straordinario insieme che è andata perdendosi, a causa appunto della cementificazione poco lucida e attenta al territorio naturale.
Ma alcuni di questi mulini sono ancora lì, a testimoniare e raccontare una storia ora raccolta da Mauro Scroccaro e Giorgio Bombardieri, che con parole e immagini hanno ricostruito quell’ unitarietà che si è persa nel tempo di gente che si incontra, di fiumi che seguono il loro corso naturale, e arrivano al mare.
Damiano Martin