Quanto e come il coronavirus colpisce bambini e giovani?
Soprattutto, che ruolo gioca la riapertura delle scuole nella diffusione del contagio da Covid-19?
Il Dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità ha provato a dare risposta a questi e ad altri quesiti analizzando l’andamento epidemiologico nazionale e regionale dei casi registrati in età scolare (3-18 anni) dal 24 agosto al 27 dicembre 2020, in concomitanza con la ripartenza dell’anno scolastico.
Le conclusioni del rapporto “Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di SARS-CoV-2: la situazione in Italia” sono rassicuranti.
«Allo stato attuale delle conoscenze le scuole sembrano essere ambienti relativamente sicuri e si ritiene che il loro ruolo nell’accelerare la trasmissione del coronavirus in Europa sia limitato» dichiarano gli studiosi dell’ISS.
Le premesse dello studio dell’Istituto Superiore della Sanità
La considerazione di partenza è che «il ruolo dei bambini nella trasmissione della SARS-CoV-2 rimane poco chiaro».
Non a caso, gli studi realizzati nei diversi Paesi non forniscono risultati univoci. E anche se il tracciamento effettuato in numerosi Stati dell’Unione Europea «suggeriscono che la riapertura delle scuole non sia associabile a un significativo aumento della trasmissione nella comunità», esistono comunque «evidenze contrastanti circa l’impatto della chiusura/riapertura della scuola sulla diffusione dell’infezione».
Addirittura, il rapporto sottolinea che in Paesi che hanno implementato le chiusure scolastiche «i bambini, in particolare nelle scuole dell’infanzia e primarie, hanno una maggiore probabilità di contrarre il Covid-19 da altri membri infetti della famiglia piuttosto che da altri bambini in ambito scolastico».
La situazione prima della riapertura delle scuole
La popolazione di riferimento dello studio sono i circa 8 milioni e 900 mila italiani, circa il 15% della popolazione totale, in età scolare.
Uno studio precedente all’inizio dell’anno scolastico ha evidenziato un aumento del tasso di casi diagnosticati nel periodo tra il 4 maggio al 13 settembre.
Nella cosiddetta “fase di transizione”, il tasso in questione è passato dall’1,8% del lockdown all’8,5%.
Il primo picco dell’epidemia nei minorenni italiani si è verificato a fine marzo e un secondo da fine agosto a metà settembre.
Dal 4 maggio, quando sono cominciate le riaperture, il maggior numero di casi diagnosticati si è verificato nella fascia 13-17 anni (41,3%), poi in quella 7-12 anni (28%), 2-6 anni (21%) e 0-1 anno (9,7%), con un tasso di ospedalizzazione del 4,8%.
Il maggior numero di ricoveri ha riguardato i neonati sotto l’anno d’età (16,2%) e si è dovuti ricorrere alla terapia intensiva nel 4,3% dei casi. Solo il 2% del totale dei soggetti ha presentato infezioni gravi o critiche, anche in questo caso con una percentuale più alta (7,2%) nei più piccoli.
Andamento epidemiologico e riapertura delle scuole
Tra il 24 agosto e il 27 dicembre 2020, in concomitanza della riapertura delle scuole, le diagnosi di positività, guardando all’intera popolazione italiana, sono stati 1.783.418.
Di questi, l’11% (203.350) ha riguardato soggetti in età scolare, tra 3 e 18 anni.
Il rapporto ha individuato il picco (16%) nella settimana tra il 12 e il 18 ottobre, mese in cui è aumentata leggermente l’età media dei contagiati, in precedenza e in seguito attestata sui 12 anni.
Maggiormente colpiti sono stati gli adolescenti tra 14 e 18 anni (40%) seguiti dai bambini delle primarie (6-10 anni, 27%), dai ragazzi delle medie (11-13 anni, 23%) e dai bambini della scuola dell’infanzia (3-5 anni, 10%).
In conformità all’andamento generale, il picco assoluto dei casi registrati in età scolare si è invece registrato tra il 3 e il 6 novembre, con oltre 4.000 soggetti positivi riscontrati.
La curva è però leggermente spostata se rapportata alle diverse fasce d’età.
Prima, dal 27 al 30 ottobre, l’hanno raggiunta i giovani tra 14 e 18 anni (quasi 2.000 casi) e tra gli 11 e i 13 (oltre 1.000). Poi (3-6 novembre) i bambini delle primarie (oltre 1.100 casi) e infine (9-11 novembre) quelli delle scuole dell’infanzia (circa 400 casi).
Quanto all’incidenza giornaliera, che aumenta con l’aumentare dell’età anche in età scolare, il picco tra gli under 18 è stato di 43 casi per 100.000 abitanti, ben al di sotto di quello degli adulti (60/100.000). Se si esclude la fascia 0-3 anni (che raggiunge il 6,2%), molto più basso anche il tasso di ospedalizzazione: 0,7% contro l’8,3% del resto della popolazione.
I focolai
Il report dedica uno specifico paragrafo al tema dei focolai di Covid-19 di probabile origine scolastica nonostante, chiariscono gli studiosi, «spesso non sia stato possibile stabilire con certezza che la trasmissione sia avvenuta in ambito scolastico».
Nel periodo di riapertura delle scuole, il sistema di monitoraggio nazionale ha rilevato 3.174 focolai, il 2% del totale.
In Veneto, si è registrato un solo caso, nella settimana dall’1 all’8 novembre, subito dopo il picco di questa statistica. E’ durato dal 5 al 25 ottobre, ma si è attestato al massimo al 3,74%.
«La percentuale dei focolai in ambito scolastico – sottolinea così il rapporto – si è mantenuta sempre bassa e le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare/domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo».
Le conclusioni dell’ISS
Con riferimento ai dati italiani dopo la riapertura delle scuole, il Dipartimento di malattie infettive dell’Iss conclude quindi affermando innanzitutto che «l’andamento dei casi di Covid-19 nella popolazione in età scolastica ha seguito quello della popolazione adulta». Anzi, «l’incidenza giornaliera è risultata sovrapponibile fino al 20 ottobre per poi aumentare nelle persone non in età scolare rispetto a quelle in età scolare». E visto che «la curva epidemica mostra, a partire da metà novembre, un decremento» si può parlare di «un impatto sicuramente limitato dell’apertura delle scuole del primo ciclo sull’andamento dei contagi».
Il tema resta insomma dibattuto, con l’Oms che rileva come la decisione di chiudere o riaprire le scuole «dovrebbe essere guidata da un approccio basato sul rischio, per massimizzare i benefici in termini di didattica, benessere e salute e come «il mantenimento di un’istruzione scolastica in presenza dipende dal successo delle misure preventive adottate nella comunità più ampia».