Non solo rover a solcare le rocce del pianeta rosso. Su Marte infatti vi sono almeno 4 satelliti, ad oggi, che orbitano attorno al pianeta per studiare i movimenti della sua atmosfera. Uno di questi ha individuato, la scorsa estate, degli enormi bagliori ultravioletti che splendono nella notte marziana, per 3 volte e a cadenza regolare, nell’arco di 6 ore tra il tramonto e la mezzanotte.
L’orbiter MaveN
Il satellite MaveN (Mars Atmosphere and Volatile EvolutioN mission) è stato lanciato il 18 novembre 2013 da Cape Canaveral e ha raggiunto Marte quasi un anno dopo, il 22 settembre 2014. È il decimo orbitante spedito dall’agenzia spaziale statunitense, la Nasa. Grande come uno scuolabus e pesante come un Suv, orbita attorno al pianeta rosso tra i 125 km e i 6.220 km di altitudine. La sua missione è studiare l’atmosfera marziana e come è avvenuto il cambiamento climatico del pianeta stesso.
L’atmosfera e le luci ultraviolette
A questo si lega la recente scoperta dei bagliori ultravioletti osservati da MaveN, a circa 70 km di altitudine. La luce è dovuta all’azione combinata tra i raggi solari, durante la primavera e l’autunno marziano, e i movimenti dell’atmosfera stessa. La luce diurna rende instabili le molecole di azoto e ossigeno. Queste vengono trasportate dai venti nella parte notturna del pianeta, dove si possono legare come ossido di azoto. Il processo chimico scatena quindi il bagliore ultravioletto che la sonda spaziale ha rivelato.
Come mai avviene questo fenomeno con cadenza regolare?
A provare a dare una risposta è Giovanni Munaretto, dottorando al dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, impegnato nello studio dei processi che avvengono sulle superfici di Marte e Mercurio. “L’ipotesi più accreditata – spiega – porta alle onde di marea, dovute alla diversa densità atmosferica. Per fare un’analogia marittima, è come se ci fossero 3 diverse maree atmosferiche attorno a Marte, anziché la nostra semplice “alta e bassa”. Le particelle quindi vengono mosse dalla parte diurna a quella notturna”.
Cosa significa primavera e l’autunno marziano?
“Le stagioni – continua Munaretto – sono determinate in primis dall’inclinazione dell’asse di Marte, simile a quello terrestre sul piano dell’eclittica. Questo determina l’alternanza stagionale, a seconda di come giungono i raggi solari. E poi influisce la distanza dal sole. L’orbita marziana è più eccentrica rispetto a quella terrestre, portando quindi a temperature più estreme”. Da qui la scomposizione delle molecole di azoto e ossigeno e il conseguente spostamento sul lato notturno di Marte.
L’importanza delle scoperte “marziane”
Studiare il pianeta Marte non è, come siamo portati a credere, un tentativo per una futura colonizzazione umana. “Queste scoperte – riprende il dottorando – ci permettono di tracciare i processi molecolari nell’atmosfera, nel caso specifico di azoto e ossigeno, e le correnti stesse che muovono “l’aria” attorno a Marte. Non esistono solo venti orizzontali ma anche verticali, che spingono verso la superficie rossa. Questo ci consente quindi di avere molte informazioni sia dal punto di vista chimico, sia da quello dinamico, sul pianeta stesso”.
Dal passato di Marte al futuro della Terra
“Possiamo interpretare Marte come un antenato del nostro pianeta. Studiarlo significa capire quale tipo di futuro potrebbe avere la Terra, e secondo quali dinamiche” conclude Munaretto. “Tra queste vi è l’evaporazione dell’acqua dal pianeta rosso, dato che sono state rilevate tracce d’acqua nell’aria marziana: è plausibile che questo tipo di movimenti atmosferici abbiano influito nel processo di inaridimento”.
In un futuro che sarà caratterizzato soprattutto dalla sfida tra l’essere umano e il cambiamento climatico, risulta quindi essenziale, per la nostra sopravvivenza, studiare lo spazio. Mai come adesso osservare le stelle, e i bagliori ultravioletti, potrebbe aiutarci a prevedere il nostro futuro.
Damiano Martin