Un modello replicabile per la difesa dagli effetti dei cambiamenti climatici
Quante venezie può permettersi Venezia? Quante se ne può permettere il mondo?
Quanto sostenibile deve diventare il mondo per permettersi l’unica Venezia che abbiamo a disposizione? Tradotto: non c’è una Venezia B. Come non c’è un Piano B per il pianeta.
Al Salone Nautico veneziano si è voluto affrontare proprio questo tema, partendo da un esempio di resilienza (anche a degradanti vicende giudiziarie) che nasce e “vive” a Venezia: il MoSe.
Il leggendario, contestato, criticato, costosissimo e ancora non completato Modulo sperimentale elettromeccanico. Il sistema di dighe mobili che solo negli ultimi mesi ha però salvato la città lagunare dalle acque alte per ben 16 volte.
“Il Mose e gli altri: la difesa dalle mareggiate nel mondo”?
Il MoSe è stato il protagonista del convegno internazionale fortemente voluto dalla Fondazione Venezia Capitale mondiale della Sostenibilità inserito nell’ambito degli appuntamenti della Biennale della Sostenibilità (1giugno-25 novembre 2023).
Sì perché questo giocattolone giallo e grigio, con tutti i suoi difetti e ruggini, è il frutto e la continuazione di un approccio multidisciplinare al problema delle alte maree, più comunemente chiamate dai veneziani “acque alte”.
Indistintamente, dai commercianti di Dorsoduro o Rialto, dai professori di Ca’ Foscari o gli studenti della media Morosini, dagli avvocati che devono andare in Tribunale o i medici che lavorano all’Ospedale Civile. Sono tante le categorie che traggono beneficio dalle alzate del MoSe.
E altre ce ne sono, segno – si è detto e ripetuto al convegno di ieri – che questo sistema risponde effettivamente alla visione multipla e concomitante che ne era ispirazione ideale fin dagli anni ‘70 del XX secolo. Benché sussistano problematiche in via di risoluzione entro fine anno per la conca di navigazione a Malamocco.
Acqua alta, inondazioni, tifoni, tsunami
Quale migliore protagonista allora per parlare di sostenibilità, a livello mondiale, nel convegno “Il Mose e gli altri: la difesa dalle mareggiate nel mondo”?
Con il 70% della popolazione planetaria che vive su coste o nell’immediato entroterra – ha ricordato il presidente della Fondazione, Renato Brunetta – «Se sono vere le stime che nei prossimi cento anni gran parte di queste aree saranno sommerse dal mare, ecco che il Mose può essere definito un’opera-mondo, una struttura nata a Venezia ma valida per tutti gli altri Paesi». E così è effettivamente, con gli “altri” che all’Arsenale erano le esperienze dell’Olanda e degli Usa, del Regno Unito e del Giappone.
Tutti “uniti” nella visione anticipatrice del veneziano MoSe, oggi attraverso I-Storm, associazione internazionale “del sapere” per la realizzazione delle barriere contro le mareggiate.
Che sono poi anche le inondazioni, i tifoni, gli tsunami. E le acque alte. L’Italia è componente di questo network.
Il MoSe: “Unica risposta possibile a un problema impossibile”
E se Luigi Brugnaro, primo cittadino di Venezia, ha parlato di coraggio, quello storico dei veneziani della Serenissima e quello che ha permesso, assieme alla lungimiranza, di arrivare al MoSe con un lavoro di squadra che deve continuare, a guardare dentro alle dighe mobili, a portarci fra cerniere e pistoni, è stato Hermes Redi, direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, ingegnere che “ha visto nascere” il MoSe «Unica risposta possibile a un problema impossibile» con l’aggiunta del fatto che le indicazioni progettuali erano imperative «non si doveva vedere nulla». Ed è per questo che le sue sono barriere a scomparsa.
Il che ha comportato, per esempio, «difficoltà operative di manutenzione molto maggiori di ciò che si è potuto fare in altri Paesi».
L’esempio più vicino al MoSe presentato al meeting della Fondazione è stato certamente quello del Giappone, illustrato da Nobuyuki Tsuchiya, ingegnere civile e vice direttore generale del Japan Riverfront Research Center. Non cassoni come il MoSe in questo caso, ma barriere vere e proprie, sollevate da un meccanismo attivato dall’altezza dell’acqua dell’oceano, che devono confrontarsi con la violenza e rapidità degli tsunami come quello seguito al devastante terremoto di Fukushyma del marzo 2011.
Problema che non si poneva agli olandesi che tuttavia dovevano fare i conti, in passato, e poi in maniera drammatica a fine anni ‘50 e ancora in seguito, con morti e migliaia di residenti evacuati. Altrettanto, per gli inglesi che dovevano difendere non solo Londra ma anche ampie aree della costa est, anche qui con centinaia di morti e intere popolazioni evacuate.
Il che ci porta direttamente al problema dei cambiamenti climatici e, per quanto riguarda Venezia, a quello che Paolo Costa, ex sindaco di Venezia e oggi nel comitato scientifico della Fondazione, ha definito «i tempi del MoSe. Ovvero, pensare al dopo-MoSe».
Risucchiati dall’attualità del climate change e della sostenibilità sistemica, quindi. Indubbiamente, aspetto affascinante ma che non va sottovalutato: «Lo scenario di soli due anni fa, quando il MoSe cominciò a funzionare, è cambiato. Frequenza, velocità e altezza delle maree sono aumentati». Quindi se si vuole che questo grande progetto italiano mantenga l’insieme delle sue promesse, riassumibili nel principio di essere «strumento di sostenibilità integrata» allora bisogna pensare al passo successivo.
Significativo che tutte queste suggestioni e proposte arrivino dal Salone Nautico di Venezia e dalla stessa città proprio nel suo ruolo di capitale mondiale della sostenibilità.
Le carte da giocare sono molte e ancora una volta, come sottolineato dal ministro e vicepremier Matteo Salvini in collegamento da remoto, l’eccellenza e le competenze italiane possono fare la differenza a livello internazionale.
Il MoSe modello mondiale di sostenibilità
Allora perché non candidare proprio il sistema MoSe a patrimonio culturale mondiale dell’Unesco. Perchè non proporre il sistema MoSe, bene pubblico Made in Italy e pagato (caramente) da tutti gli italiani come modello mondiale di sostenibilità e resilienza al Cop28 in calendario a fine anno a Dubai. Proposte targate Paolo Costa, non necessariamente un assist al ministro Salvini, ma che rafforzano la linea intrapresa dalla Fondazione Venezia capitale mondiale della Sostenibilità.
C’è un patrimonio ancora non completamente espresso tra le pieghe di una città capace di idee e capace di fare. La modernità, il nuovo sviluppo e forse anche il ripopolamento passano per il «coraggio» di meritarsi l’unica e sostenibile Venezia che abbiamo.
Agostino Buda