Secondo il report di Unicusano, solo il Giappone ci supera. Primati negativi anche per Usa e Qatar
Lo chiamano “Overshoot Day” ed è il giorno in cui, idealmente, il consumo di risorse rinnovabili raggiunge il livello in cui la Terra è in grado di rigenerarsi nell’arco di un anno.
Nel 2023, questa data, per l’Italia è coincisa con il 15 maggio, nel 2024 andrà poco meglio, visto che il calcolo indica il 19 maggio.
Da quel giorno, evidentemente con largo anticipo, inizieremo a consumare il “bonus” del 2025.
E l’Italia, sottolinea uno studio pubblicato dall’Università Niccolò Cusano, è uno degli Stati mondiali a far segnare il più elevato rapporto tra le risorse prodotte e la domanda di queste da parte dei suoi cittadini. In altri termini, come spiega l’infografica di Unicusano, sarebbero necessarie quasi 5 Italie (esattamente 4,7) per far fronte alla necessità della popolazione.
In tal senso, il non invidiabile primato è del Giappone, con una richiesta di risorse pari a 7,7 volte quelle prodotte. Altri record negativi che emergono dallo studio sono poi quelli del Qatar, Paese più inquinante al mondo, dove l’Overshoot Day che è già scattato l’11 febbraio, e gli Stati Uniti, che sono il Paese in cui gli stili di vita richiederebbero “più Terre”, 5, se fossero adottati dall’intera popolazione mondiale.
Plastica, sprechi alimentari, spostamenti: serve un cambio di rotta
Nella graduatoria guidata dagli Usa, l’Italia, con 2,7, è 7^ alla pari di Regno Unito e Francia, nel numero di terre di cui ci sarebbe bisogno se il Mondo vivesse come noi.
La media del pianeta, 1,75, è comunque chiaramente superiore al rapporto di 1:1 che simboleggia la parità di quanto prodotto e quanto consumato. E ciò rende necessaria, sottolinea Unicusano, un’inversione di rotta: “Italia, Stati membri e mondo intero non si stanno impegnando abbastanza”, afferma lo studio.
Quanto all’Italia, i fattori che contribuiscono maggiormente all’impronta ecologica sono l’uso della plastica (42%), il settore alimentare (31%) e gli spostamenti (25%).
Inoltre, lo spreco alimentare in Italia è stimato in 67 kg annui pro capite. Un tema, questo, che riguarda comunque l’intero pianeta, visto che il 30% del cibo prodotto a livello globale viene sprecato. E questo, aggiunge il rapporto, causa l’emissione di 4,8 miliardi di tonnellate di gas serra.
Anche la plastica è un problema generalizzato. Sono 5,25 i trilioni di pezzi di plastica, suddivisi in 7 “isole” che galleggiano su mari e oceani, coprendo con vere e proprie discariche un’area pari a 8 volte l’Italia. La più grande, la “Great Pacific Garbage Patch”, tra Giappone e Hawaai, è di 10 milioni di km quadrati.
La principale del Mediterraneo è invece quella presente tra l’Isola d’Elba e la Corsica, formata da bicchieri di plastica, bottiglie, cassette, sacchetti e flaconi.
Le emissioni di gas serra e il riscaldamento globale: situazione e rischi
Come emerso dalla Cop 28, il tema delle emissioni di gas serra è centrale per limitare il riscaldamento globale. Il rapporto di Unicusano sottolinea che, tra il 2010 e il 2019, si è registrato un aumento esponenziale di queste emissioni: +12%, che hanno portato il confronto con il 1990 a un +54%. A causarle, per il 40%, sono soprattutto il 10% delle famiglie più ricche, contro il 15% delle famiglie meno abbienti, che rappresentano il 50% del totale.
E se, rispetto al 1860, le temperature medie sono aumentate di 1°, la prospettiva di un ulteriore aumento tra +1,5° e +3° entro il 2030 viene definito “una catastrofe annunciata”. Tra i possibili principali rischi, le ondate di calore, le perdite nella produzione agricola, la scarsità di risorse idriche e cambiamenti nelle precipitazioni, con un aumento del +71% dei disastri. Di qui la strategia di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2025, ridurle del -43% entro il 2030 e del -60% entro il 2035.
Se non cambieranno le cose, l’elenco delle possibili conseguenze, oltre a quelle naturali, ricomprende anche l’ambito sociale (dalla salute, all’occupazione, all’istruzione), quello alimentare (tra diritto al cibo, qualità e salubrità dei prodotti), fino all’economia (agricoltura, turismo, infrastrutture ed energia). L’Italia, tra il 1980 e il 2020, è del resto uno degli Stati, con Germania e Francia, ad aver registrato le perdite economiche più elevate per le imprese.
Il clima e la Terra del futuro che spaventa
Il quadro disegnato da Unicusano è fortemente preoccupante per il futuro della Terra.
La prospettiva se non si riuscirà a invertire il trend è quella di un superamento della soglia della temperatura entro 10 anni, per poi arrivare, entro 50 anni, circa 3,5 miliardi di persone a vivere in un clima simile a quello del Sahara e, entro 70 anni, a temperature estive superiori di 5° gradi rispetto a quelle odierne.
Nel Mediterraneo, in particolare, l’innalzamento del livello del mare potrebbe causare un’ondata di migrazioni.
Tra le soluzioni prospettate, all’interno dell’auspicata “rivoluzione sociale, culturale, economica e politica che passa anche da noi”, l’Università inserisce la decarbonizzazione della società, la pianificazione urbana a beneficio di spazi verdi, la previsione di spazi dedicati al benessere delle persone, un’edilizia abitativa sostenibile, comportamenti sostenibili, riduzione della plastica, riciclo, cambiamenti nelle abitudini di acquisto e corsi di laurea sempre più inclusivi sui temi ambientali.
Inoltre, partendo dal “paradosso del cibo”, che è al tempo stesso vittima e propulsore dei cambiamenti climatici, causando un terzo delle emissioni globali, per diminuire l’impatto ambientale dell’alimentazione si suggeriscono diete equilibrate e più sostenibili, a base vegetale per abbattere le emissioni del 35%, educazione dei consumatori, uso di tecnologie alternative per l’agricoltura e una riduzione tanto degli sprechi alimentari, quanto di quelli di acqua, energia e forza lavoro.
Alberto Minazzi