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Dubuffet e l’Art Brute: "tutto il mondo è pittore"

Dubuffet e l’Art Brute: "tutto il mondo è pittore"
Jean Dubuffet, Le Précepteur, 1972

Al Museo delle Culture di Milano, l’esposizione sull’arte degli outsider. Fino al 16 febbraio 2025

Se la bellezza è armonia, ricerca di un canone, di un’espressione del proprio sentire attraverso versi, melodie e immagini, cosa può dare l’impulso istintivo di una parola, di un suono, di un colpo di pennello?
Si può ancora definire arte quel che non proviene dal tempo speso verso una tecnica e una riflessione, ma dal colpo d’intuito di una forma o di una chiazza di colore, dalla naturalezza di un gesto o di un pensiero?
Due domande che rispecchiano il movimento, e la filosofia, dell’Art Brut.
Senza scadere nell’assonanza italiana, Brut in francese può significare grezzo, rozzo; ma è solo una stesura superficiale, rispetto a ciò che intese il pittore Jean Dubuffet, quando diede questo appellativo ai pittori svizzeri, privi di una cultura artistica, che trovò a Losanna nel 1945.
Quasi 80 anni dopo, il Museo delle Culture di Milano ridona dignità – su suolo italiano – a questa filosofia d’arte emarginata, tramite la mostra Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider, iniziata lo scorso 12 ottobre 2024 e che vedrà il suo termine il 16 febbraio 2025.

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Jean Dubuffet, Arabo con rosa, 1948, ©Les Arts Décoratifs-Jean Tholance

L’arte senza professione: dagli esordi al museo di Losanna

Oltre le regole, oltre le convenzioni.
Nacque così la corrente artistica “istituzionalizzata” da Dubuffet, quando venne inviato a Losanna, nell’immediato dopoguerra, e si imbatté nella collezione privata dello psichiatra Walter Morgenthaler.
Il Dizionario storico della Svizzera riporta di una raccolta pittorica – tra gli altri – degli artisti Louis Soutter, Aloïse Corbaz, Adolf Wölfli e Heinrich Anton Müller (quest’ultimo austriaco): migliaia di opere, prodotte dai pazienti schizofrenici della clinica psichiatrica di Waldau, a Berna.

Dal Foyer de l’art brut alla raccolta museale di Beaulieu

Nel 1947, Dubuffet – anch’esso pittore – creò a Parigi il Foyer de l’art brut, per poi dare vita a la Compagnie, a cui presero parte anche André Breton e Jean Paulhan.
La collezione si ampliò, tanto da rendere necessario, nel 1964, la creazione di un periodico dedicato (L’art brut).
L’imponenza delle raccolta museale spinse Dubuffet a cercarle una nuova collocazione, dopo essere giunta a New York.
La scelta ricadde sull’ente pubblico del comune di Losanna, cui la collezione venne donata. L’inaugurazione avvenne nel febbraio del 1976, nel castello settecentesco di Beaulieu, con l’accordo tra la città e il pittore francese di mantenere l’esposizione viva e in continua aggiornamento.

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Angelo Meani, Senza titolo, ©Atelier de numerisation – Ville de Lausanne

La mostra al Mudec di Milano

È grazie alla collaborazione con la Collection de l’Art Brut di Losanna che è stato possibile organizzare la mostra – a cura della direttrice svizzera Sarah Lombardi e della conservatrice Anic Zanzi, e con la consulenza scientifica di Baptiste Brun – dedicata a Jean Dubuffet e agli altri “outsider”.
L’esposizione, divisa in quattro sezioni, si dedica nella prima parte al “fondatore” della corrente, al suo sguardo oltre la cultura artistica e volto a dare dignità alla vera arte, quella che sta “dove non ci aspettiamo di trovarla”, fuori dai circuiti tradizionali e basata solo sugli impulsi dei suoi autori.
Importante, per il lavoro di raccolto di Dubuffet, fu la commistione con le scienze sociali – antropologia, etnografia, psichiatria, psicologia e pedagogia – che gli permisero di portare avanti lo studio sulla connessione tra produzione artistica e impulso grezzo dell’essere umano.

Carlo Zinelli, il maggior esponente dell’Art Brut italiana

La seconda parte guarda più in generale all’Art Brut e ai suoi esponenti, agli universi da loro creati.
Un esempio fu l’artista cieco Emile Ratier, scultore dei suoni e dei rumori che lo guidavano nel modellare il legno.

Emile Ratier, Senza titolo, 1968, ©Atelier de numerisation – Ville de Lausanne

Qui trova spazio anche il maggior autore dell’Art Brut italiana: Carlo Zinelli.
Veronese vissuto tra il 1916 e il 1974, iniziò a dare segni di schizofrenia durante la Guerra civile spagnola; ciò non gli impedì di partecipare, per sua fortuna, all’atelier di pittura organizzato dallo scultore irlandese Michael Noble (qui conobbe lo psichiatra Vittorino Andreoli). La cura ergoterapica ebbe un grande beneficio su di lui, e gli fu consentito di esporre le sue opere alla mostra bernese “Insania Pingens” – unico italiano – dove attirò gli storici dell’arte vicini a Dubuffet.

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Carlo Zinelli, Senza titolo, 1962, ©Atelier de numerisation – Ville de Lausann

Dubuffet: “Tutto il mondo è pittore”

Chiudono la mostra le sezioni tre e quattro, dedicate alle “Credenze” e al “Corpo”, ovvero alla dimensione religiosa e spirituale dell’Art Brut – ai limiti dell’occultismo e dello spiritismo, dettatore di opere d’arte – e alla frammentazione del corpo, alla sua raffigurazione materiale e carnale.

Charles Boussion, Icona Bernardette, 2015, ©Ateleir de numerisation – Ville de Lausanne

L’Art Brut rappresenta un intreccio inestricabile di visioni e di sensazioni, interne ed esterne, che non trovano luogo in una logica organizzata, ma lo potrebbero avere in un ordine emotivo, se mai ve ne fosse uno. Un ordine che, in ogni caso, rimane soggettivo e singolo nell’espressione artistica di ogni singolo autore, per dare conto e riscontro dell’unicità insita in ogni essere umano; poiché, come sosteneva Dubuffet: “Tutto il mondo è pittore”.
La mostra è prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura, con il patrocinio del Consolato Generale Svizzera a Milano e che vede come Institutional Partner Fondazione Deloitte, in collaborazione con la Collection de l’Art Brut, Lausanne.

Damiano Martin

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