L’asticella è stata fissata con l’Accordo di Parigi: l’umanità deve impegnarsi per contenere sotto i 2 gradi l’incremento della temperatura del pianeta di qui a fine secolo al fine di ridurre sostanzialmente i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.
Lo scenario più in linea con i modelli storici di sviluppo socioeconomico, se non si adotteranno rapidamente misure più efficaci per la riduzione delle emissioni, è però di un innalzamento di 2,7 gradi.
Lo dicono le stime del 6° Rapporto di valutazione dell’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) la cui prima parte, dedicata alla scienza fisica del cambiamento climatico, è stata pubblicata in previsione della prossima COP26 che si terrà in Scozia, allo Scottish Events Campus di Glasgow, dal 31 ottobre al 12 novembre prossimi, dove si discuterà del rapporto Onu sullo stato del clima.
Cinque scenari per un futuro
Il Rapporto, che aggiorna il precedente pubblicato tra il 2013 e il 2014, disegna 5 possibili scenari su quella che potrebbe essere la situazione del pianeta tra un’ottantina d’anni.
Si va dai 2 più ottimistici, secondo i quali la temperatura globale potrebbe aumentare di 1,4 o 1,8 gradi, quindi in linea con gli obiettivi fissati dall’Accordo parigino sottoscritto il 12 dicembre 2015, a quello estremo, in cui la Terra raggiungerebbe livelli record con un incremento di 4,4 gradi.
Si tratta, fortunatamente, di un’ipotesi estremamente improbabile, inserita quasi esclusivamente per motivi scientifici. Ma anche l’ipotesi più ottimistica è da ritenersi relativamente improbabile, a meno di una decisa accelerazione nelle azioni a favore del clima. In caso contrario, il mondo sta andando incontro allo scenario intermedio, che prevede appunto l’aumento della temperatura di 2,7 gradi. Con il rischio, legato soprattutto a sviluppi politici nazionalistici, di arrivare al quarto scenario e a 3,6 gradi in più.
Le variabili in gioco
Pur partendo dall’efficacia delle misure mirate a ridurre le emissioni di carbonio, le variabili in gioco, in ogni caso, sono molte.
A giocare un ruolo nei cambiamenti climatici sono e saranno anche le tendenze economiche e sociali, gli sviluppi geopolitici, la cooperazione globale e il progresso tecnologico. Sarà cioè determinante la capacità della società di cambiare ritmo e adattarsi ai cambiamenti futuri, di diminuire povertà e disparità, migliorando la qualità della vita di tutti.
Il prossimo anno, l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) approfondirà alcuni temi, più legati a valutazioni socio-economiche, con la seconda e la terza parte del rapporto, dedicate rispettivamente all’adattamento al clima e alla sua mitigazione. Intanto, nella stima degli impatti fisici delle attività umane sul clima planetario per elaborare le previsioni, rispetto al rapporto del 2013 sono stati aggiornati gli scenari.
Al “forzante radiativo” (cioè la quantità di energia, in watt per metro quadrato, che le emissioni antropiche aggiungono al sistema-terra), sono stati associati i relativi scenari di sviluppo inseriti in un “percorso socioeconomico condiviso”.
Gli scenari ottimistici
Per rientrare in uno dei due scenari più ottimistici (quelli con forzante radiativo a 1,9 o 2,6 watt per metro quadro) la riduzione dell’utilizzo di carburanti fossili deve essere immediata ed efficace, riuscendo ad azzerare le emissioni nella seconda metà del secolo.
La differenza di 0,4 gradi tra le due ipotesi prospettate dipende proprio dalla velocità con cui sarà centrato questo traguardo.
In questi scenari, l’IPCC prevede una crescita degli standard qualitativi di vita globale, con più ricchezza e meglio distribuita.
Un’altra variante che inciderà sul risultato è legata agli sviluppi tecnologici che consentiranno di catturare l’anidride carbonica presente nell’aria e successivamente di stoccarla. Prima sarà sviluppata una tecnologia efficace in tal senso, prima potrà cominciare una vera e propria inversione di rotta anche nel trend di aumento delle temperature. Anche con questi scenari, in ogni caso, il livello del mare si dovrebbe innalzare di circa 60 cm ed aumenteranno frequenza e intensità di eventi climatici estremi.
Gli scenari più drammatici
All’opposto, per fortuna in linea teorica, l’umanità potrebbe addirittura raddoppiare le estrazioni di combustibili fossili e intensificare gli stili di vita ad alto consumo energetico.
È lo scenario con forzante radiativo a 8,5 che, nel rapporto, porta di qui a fine secolo a un amento di temperatura di 4,4 gradi. A contribuire a determinarlo, oltre all’uso del carbone, potrebbe essere anche lo scongelamento del permafrost, con il rilascio in atmosfera di CO2 e metano, o una maggior sensibilità del clima alle emissioni antopiche di anidride carbonica. Paradossalmente, però, con società più ricche, eque e tecnologicizzate, l’uomo potrebbe anche essere maggiormente in grado di fronteggiare il caldo.
Lo scenario più temuto, allora, potrebbe essere il quarto (forzante radiativo a 7), al quale si collegherebbe un aumento di 3,6 gradi, con più siccità, inondazioni più gravi, ondate di calore 40 volte più frequenti e la scomparsa estiva del ghiaccio marino artico. A determinare lo scenario, oltre all’aumento delle emissioni di carbonio, la diffusione di forme di nazionalismo, il crollo della cooperazione internazionale, uno stallo di crescita economica e progresso sociale e una popolazione mondiale oltre i 12 milioni.
Il futuro più probabile
Il Rapporto di Valutazione IPCC indica comunque come più probabile, allo stato attuale, lo scenario intermedio SSP2-4,5 (in cui la cifra dopo il trattino indica il forzante radiativo).
Un aumento di 2,7 gradi, pur superandola, non si discosta di molto dalla soglia di 2 gradi fissata a Parigi.
Per veder calare significativamente il livello delle emissioni di carbonio bisognerà in questo caso attendere fino a dopo il 2050.
Nel quadro socioeconomico, lo scenario prevede una crescita economica globale disomogenea, un tasso di fertilità che rimane elevato nei Paesi in via di sviluppo, portando la popolazione mondiale ad aumentare da 8 a 9,5 milioni, e una alta vulnerabilità climatica di alcune parti del pianeta.
Alberto Minazzi
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