Pur nelle divergenze delle vedute, nel comune accordo di volerle superare per arrivare a fissare nuove regole prima della scadenza (a luglio) del Consiglio Superiore della Magistratura in carica, il Consiglio dei Ministri è arrivato a trovare la quadra, approvando la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario.
“Sono stati raggiunti degli obiettivi importanti – ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi durante la conferenza stampa che si è tenuta a conclusione del Cdm -. C’è stata una condivisione dell’impianto fondamentale della riforma, è stato assicurato da tutte le parti politiche l’impegno a darle priorità assoluta in Parlamento, in modo tale che si arrivi a definizione prima della scadenza del Csm, è stato garantito il rispetto dei tempi.”
A ragguagliare nel dettaglio ciò che prevede la riforma è stata la ministra della Giustizia Marta Cartabia, che ha annunciato riguarderà il sistema elettivo del Csm, il no alle cosiddette “porte girevoli”, cioè al passaggio diretto tra magistratura e politica e viceversa, la modifica delle modalità di nomina dei vertici apicali del Consiglio Superiore della Magistratura, le valutazioni di professionalità e la disciplina dei magistrati fuori ruolo.
Lo stop alle porte girevoli
Secondo quanto prevede la bozza della riforma del Csm “i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che hanno ricoperto cariche politiche elettive (da parlamentare nazionale ed europeo, consigliere e presidente di giunta regionale, a consigliere comunale e sindaco) al termine del mandato saranno collocati in posizione di fuori ruolo presso il ministero di appartenenza”.
I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che hanno svolto incarichi apicali nei ministeri o incarichi di governo non elettivi (capi di gabinetto, segretari generali presso i ministeri o ai capi dipartimento), per tre anni, al termine del loro mandato, non potranno svolgere funzioni giurisdizionali.
“Questa è una riforma esigente nei confronti dei giudici – ha commentato la ministra Cartabia – ma risponde a un’esigenza della stessa magistratura a essere un po’ più severa con se stessa in quanto ha bisogno di recuperare una maggior credibilità. Tra gli obiettivi di questa riforma c’è unanimità di vedute in parlamento. C’è stata anche una condivisione sui nodi sui quali intervenire, tra i quali quello del passaggio del magistrato a cariche politiche. Permangono alcune differenze sulla gradazione delle misure. I magistrati che entrano in politica poi non possono tornare a svolgere la loro funzione giurisdizionale, a meno che, e questo è un punto sul quale c’è stata una mediazione, non si tratti di incarichi tecnici”.
La riforma mette nero su bianco anche il divieto di esercitare funzioni di giudice o di pubblico ministero mentre si ricoprono incarichi elettivi e governativi.
Lo stop alle correnti
La riforma prevede inoltre un sistema elettorale misto basato su collegi binominali per il Csm, dove non sono ammesse candidature di liste ma personali.
Per la valutazione dell’operato dei magistrati, qualora il Consiglio dell’Ordine abbia fatto una segnalazione formale di comportamenti scorretti, interviene anche il voto degli avvocati.
La riforma, che secondo le tempistiche previste dovrebbe andare a regime entro la fine del 2022, benché molto tecnica, “è importante per i cittadini che – ha ricordato il premier Draghi – come ha detto il presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento, devono poter ritornare ad avere fiducia nella magistratura e nella giustizia”.
Le prossime sfide per il Governo
Il presidente del Consiglio ha poi ricordato che, insieme a questa importante riforma, restano i tre assi prioritari di sfida da affrontare per il Governo: il rincaro dell’energia, l’inflazione e il Pnrr.
“Il 2021 si è chiuso per l’Italia con una crescita del 6,5%. Nel primo trimestre di quest’anno si registra un rallentamento ma la Commissione Europea prevede a fine anno un +4% – ha ricordato il presidente Draghi – Certo ci sono dei rischi, compreso quello delle tensioni geopolitiche che possono nascere da qui a poco. Siamo tuttavia relativamente certi, sulla base delle stime della BCE, che l’inflazione diminuirà nel corso di quest’anno. Quanto al Pnrr, sta andando molto bene, presenteremo a breve una tabella sulla realizzazione delle opere pubbliche, strutturali e dei trasporti dalla quale si può comprendere che l’impegno, da parte degli enti attuatori, è molto forte.
Il caso bonus e superbonus
Il gap, ora, riguarda i bonus, soprattutto quelli legati all’edilizia che, a fronte dei recenti sequestri deliberati dalla magistratura per azioni fraudolente per 2.3 miliardi di euro, vede come conseguenza una stasi del settore.
“Il problema della cessione dei bonus edilizi e della possibilità di cedere crediti fiscali diventata nel 2020 pressoché illimitata, estesa a tutte le tipologie di lavori edilizi e senza profili di garanzia – ha detto il ministro dell’ Economia Daniele Franco – è reale.
Si è creato un mercato dei crediti non regolamentato. Al 31 dicembre 2021 si sono contate 4,8 milioni cessioni del credito con controvalore di 38 miliardi di euro. Le cessioni di bonus edilizi intercettate come sospette ammontano a oltre 4 miliardi. 2,3 già sono stati sottoposti a sequestro e una quota, attorno a 1,5 miliardi è già stata incassata. Il Governo è intervenuto già a novembre, perché mancavano strumenti di verifica. Sono state introdotte delle misure di controllo come il visto di conformità, l’asseverazione e la riduzione del numero delle cessioni. Ora – ha concluso – c’è ovviamente un rallentamento, ma il sistema ripartirà in modo più sicuro, funzionando meglio”.
Consuelo Terrin