Acea approva la proposta rimodulata del progetto. Obiettivo 2026 per l’avvio del trattamento di oltre 600 mila tonnellate l’anno di scarti indifferenziati
L’Italia avrà entro il 2026 una freccia in più al proprio arco per il trattamento dei rifiuti.
Dopo una lunga fase di stallo, da Roma è infatti arrivata la notizia che i consigli di amministrazione di Acea e Acea Ambiente, società del gruppo multiutility che gestisce nella capitale tra gli altri i servizi di trattamento di acque e rifiuti, hanno approvato la proposta rimodulata del progetto Waste to energy per il nuovo termovalorizzatore.
Può dunque ripartire l’iter per la realizzazione dell’impianto destinato a trattare ogni anno oltre 600 mila tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati.
Pur con numeri che restano ben al di sotto di quelli degli altri grandi Paesi europei (l’ultimo rapporto in materia, relativo al 2020, parla di 37 termovalorizzatori operativi in Italia contro i 96 della Germania e i 126 della Francia), la notizia è il segnale di un’inversione di tendenza in un settore strategico come quello dei rifiuti.
Il termovalorizzatore di Roma e l’iter per la sua realizzazione
La decisione dei vertici di Acea, spiega lo stesso gruppo, “arriva al termine del confronto positivo sugli aspetti tecnici ed economici”.
Dopo l’ok, il raggruppamento di imprese coinvolte ha provveduto subito a mandare agli uffici di Roma Capitale “il progetto rimodulato per le valutazioni finali”. “Si chiude una fase importante del processo che ha consentito di migliorare diversi aspetti di un progetto già tecnicamente molto valido – il commento arrivato dal Campidoglio – e ora si potrà andare avanti velocemente secondo l’iter previsto dalle partnership pubblico-private”.
Una volta approvato il progetto anche da parte dell’ente pubblico, si potrà trasformarlo in un capitolato tecnico da inserire nel bando per la realizzazione dell’impianto.
Le tempistiche per questa prima fase sono stimate in 2 o 3 settimane, con la messa a gara a metà novembre.
Serviranno poi diversi mesi per le varie fasi della gara d’appalto, tra cui la presentazione del progetto definitivo. Un intervento economicamente importante, che, come ha precisato nei giorni scorsi il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, vedrà un investimento ben oltre i 700 milioni di euro.
Il termovalorizzatore sarà realizzato nella zona di Santa Palomba, nella periferia sud della capitale, al confine con Pomezia. La formula adottata per la realizzazione è quella del project financing, su un terreno acquistato un anno fa per 7,5 milioni dalla municipalizzata dei rifiuti e messo a disposizione del privato a titolo oneroso dal committente, il Comune di Roma, per la costruzione e la gestione in concessione. Tra gli accordi, la previsione di un canone di conferimento dei rifiuti che consenta sia di rientrare dell’investimento che di contenere le tariffe per i cittadini.
I termovalorizzatori in Italia
Il tema dei termovalorizzatori, nel nostro Paese, è alquanto dibattuto. Basti pensare che, dal 2013 al 2020, gli impianti sono diminuiti di 11 unità.
Di quelli attivi censiti dal già citato rapporto del Centro nazionale dei rifiuti e dell’Ispra pubblicato nel 2021, la gran parte (26 su 37) si trovano al Nord, a partire dai 13 della Lombardia e i 7 dell’Emilia Romagna. Secondo il “libro bianco” sull’incenerimento dei rifiuti urbani, nel 2019 in Italia sono stati trattati in tutti gli impianti 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali.
I termovalorizzatori sono contrastati dalle associazioni ambientaliste, le cui ragioni però, citando un recente caso specifico come quello di fine 2021 relativo all’ampliamento, con la realizzazione della seconda linea dell’impianto veneziano di Fusina, sono state respinte con il relativo ricorso dal Tribunale Amministrativo Regionale. Le motivazioni, in questo caso, spiegano che “gli argomenti utilizzati dai ricorrenti si limitano ad affermazioni generiche su una pretesa contraddittorietà ed implausibilità delle valutazioni effettuate, fondate su riferimenti non del tutto pertinenti”.
A rivalutare l’impatto sull’ambiente degli impianti di incenerimento è anche lo stesso “libro bianco” che tra l’altro nella seconda parte, titolata “Indagini epidemiologiche condotte in Italia e all’estero nelle aree interessate dalla presenza di inceneritori”, sfata l’idea che inceneritori e termovalorizzatori siano dannosi per la salute dei cittadini rilevando che “non si possono considerare fattori di rischio di cancro o di effetti negativi sulla riproduzione o sullo sviluppo umano”.
Dal trattamento dei rifiuti urbani, sempre nel 2019, sono stati infatti ricavati 4,6 milioni di megawatt/ora di energia elettrica e 2,2 milioni di energia termica. Un quantitativo di energia, rinnovabile al 51%, in grado di soddisfare i fabbisogni di circa 2,8 milioni di famiglie. E, non a caso, la stessa Unione Europea ha fissato per il 2035 l’obiettivo di un riciclaggio effettivo dei rifiuti al 65%, riducendo sotto il 10% il ricorso alla discarica, che tra l’altro ha un impatto climalterante 8 volte superiore.
Alberto Minazzi