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"Riaprite le scuole". Un ricorso al Tar contro l'ordinanza veneta

"Riaprite le scuole". Un ricorso al Tar contro l'ordinanza veneta
studenti

Era già successo in Lombardia, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna.
Anche in Veneto, adesso, è stato presentato un ricorso al Tar per la revoca dell’ordinanza che rinvia a febbraio il ritorno in classe dei ragazzi delle scuole superiori.

Il ricorso veneto

A presentare ricorso al Tar, in Veneto, sono stati 17 genitori, quasi interamente di Vicenza e del Vicentino (uno è di Mestre e uno di Verona). La conclusione alla quale arriva il documento depositato dall’avvocato Giovanni Sala è che l’ordinanza della Regione Veneto, che proroga al 31 gennaio la didattica interamente a distanza per le scuole secondarie di secondo grado, è illegittima e va annullata.

Visti i tempi ristretti, i ricorrenti chiedono che, in attesa di una pronuncia di merito, il tribunale amministrativo, in via preliminare, intervenga adottando la sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato o comunque l’adozione di ogni misura idonea alla tutela dei loro interessi.

La ricostruzione dei ricorrenti

Richiamando il decreto del presidente del Tar della Lombardia del 14 gennaio, la tesi sostenuta dai genitori si basa innanzitutto sul fatto che la competenza regionale a introdurre misure ulteriormente restrittive sarebbe condizionata alla mancata adozione dei DPCM.
Gli stessi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, inoltre, rileva il ricorso, prevedono che le attività scolastiche si svolgano esclusivamente con modalità a distanza solo in caso di zona rossa. Non, quindi, la fascia nella quale era collocato il Veneto quando è stata adottata l’ordinanza.

Le conclusioni del ricorso

Tra i motivi alla base della richiesta di riconoscere l’illegittimità e decretare il conseguente annullamento dell’ordinanza regionale, i ricorrenti aggiungono la possibile incompetenza della Regione Veneto, oltre alla violazione e falsa applicazione di leggi statali.
La tesi è che vada esclusa la sussistenza delle condizioni poste dalle norme statali per un intervento regionale, e specificamente del potere di assumere provvedimenti restrittivi, alla data di adozione dell’ordinanza.

L’istanza cautelare si fonda poi, oltre al cosiddetto “fumus boni iuris” (ovvero la fondata possibilità che le ragioni addotte possano avere un riconoscimento legale), sul “periculum in mora”. I genitori ritengono infatti che il diritto fondamentale all’istruzione, garantito ai loro figli dall’articolo 34 della Costituzione, possa non essere rispettato dal fatto che la didattica a distanza non è efficacemente sostitutiva di quella in presenza, oltre alla riconosciuta funzione sociale della scuola. E, ricordano, dall’8 marzo 2020 alla presentazione del ricorso, i giorni di DAD sono già 118.

didattica a distanza scuola
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Diritto allo studio e diritto alla salute

Il giudice amministrativo sarà però chiamato a valutare, oltre ai presupposti legali alla base del ricorso, anche il contemperamento tra diritto allo studio e diritto alla salute, che gli stessi ricorrenti definiscono “doveroso e possibile”. Al tempo stesso, oltre che di atto illegittimo, la Regione viene però da loro accusata anche di eccesso di potere, anche per contraddizione interna , e carenza di istruttoria.

Il riferimento, in merito, va alle premesse dell’ordinanza. Che, ricordando come la popolazione scolastica del secondo ciclo, compresi gli studenti degli istituti professionali, sia composta da circa 117 mila studenti e oltre 18 mila tra docenti e personale Ata, sottolinea il rischio di possibili assembramenti nei pressi delle istituzioni scolastiche e il conseguente rischio di diffusione del contagio presso le famiglie.
Una considerazione, per i ricorrenti, non basata su dati di fatto e soprattutto non scientificamente supportata.

La valutazione del Dipartimento di prevenzione

I 17 genitori, attraverso il loro avvocato, chiedono infine l’esibizione in giudizio della valutazione del Dipartimento di prevenzione regionale, che ha dichiarato la sussistenza di una situazione inquadrabile in uno “scenario di tipo 2”. Si chiede infatti di comprendere perché i dati dell’ultimo monitoraggio precedente all’ordinanza abbiano portato a questa conclusione e, in particolare, all’adozione di misure tanto radicali. Si contesta infatti anche la durata della misura, 4 settimane, oltre alla contradditorietà dell’ordinanza, quando dà atto che sia tutto pronto per il rientro a scuola in condizioni di sicurezza per i ragazzi.

Cosa è successo nelle altre regioni

Fino ad oggi, i diversi tribunali amministrativi regionali hanno accolto le richieste presentate dalle famiglie.
Ma il risultato, nei tre casi già affrontati, è stato ben diverso. Solo in Emilia Romagna, infatti, i ragazzi sono tornati a scuola da lunedì 18 gennaio, sia pure con lezioni in presenza garantite a una percentuale di ragazzi tra il 50 e il 75 per cento, come stabilito dall’ultimo Dpcm.

La sospensiva concessa dal Tar lombardo è stata nei fatti subito superata dalla nuova classificazione della regione in zona rossa. Una fascia che, riguardo alle scuole, prevede la didattica in presenza solo fino alla prima media.
In Friuli Venezia Giulia, invece, è stato direttamente il governatore Fedriga a emettere una nuova ordinanza in sostituzione di quella sospesa, che aveva validità dal 7 al 31 gennaio. In sostanza, dunque, le cose restano immutate, perché il nuovo provvedimento prevede la sola didattica a distanza per gli studenti delle superiori friulani e giuliani dal 18 al 31 gennaio.

 

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