Ceramiche e contenitori da trasporto della prima metà del VII sec A.C, un carico intatto, “che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia”.
Il vasellame pregiato di cui ora si conoscono datazione e provenienza, è rimasto oltre 2700 anni negli abissi del mare.
Era partito da Corinto con una nave che è poi affondata, trattenendo con sé una fetta di storia oggi svelata grazie agli archeologi che, con strumenti e tecniche d’avanguardia, già nel 2019 l’avevano localizzata a 780 metri di profondità nel Canale d’Otranto.
Anfore e Skyphoi recuperati dal sottomarino
Prelevare i reperti è stato possibile grazie all’utilizzo di un sottomarino filoguidato (Remotely Operated Vehicle).
“Si tratta in particolare di tre anfore, dieci skyphoi (coppa per bere con due anse) di produzione corinzia, quattro hydriai (vaso per trasportare l’acqua) ancora di produzione corinzia, tre oinochoai trilobate (vasi usati per versare il vino o l’acqua)in ceramica comune e una brocca di impasto grossolano, di forma molto comune a Corinto. Molto interessante il pithos (vaso di terracotta), recuperato frammentario con tutto il suo contenuto costituito da skyphoi impilati al suo interno in pile orizzontali ordinate – spiega nel dettaglio la Soprintendente nazionale per il patrimonio culturale subacqueo Barbara Davidde -. In questa fase, se ne contano almeno 25 integri, oltre a diversi frammenti pertinenti ad altre coppe”.
“Una scoperta straordinaria”
Un ritrovamento che fa parlare di una scoperta straordinaria, sia per i manufatti recuperati, che completano le conoscenze attuali sulla Magna Grecia (la parte dell’Italia del Sud colonizzata dai greci dall’VIII sec), sia per le tecnologie utilizzate.
“L’archeologia subacquea – ha dichiarato il ministro della Cultura, Dario Franceschini – è uno dei settori di ricerca più importanti del nostro Paese sui quali è necessario tornare a investire. Siamo un paese circondato dal mare e abbiamo un ricco patrimonio culturale sommerso che va ancora studiato, salvaguardato e valorizzato. Le recenti indagini nel canale di Otranto confermano che si tratta di un patrimonio ricchissimo in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia”.
Resti di antichi noccioli di olive in un’anfora
I reperti sono ora conservati nei laboratori di restauro della Soprintendenza.
Ma non scrivono la parola fine a questa campagna archeologica che si prefigge di riportare in superficie l’intero carico dell’antica nave. Di altri duecento reperti si dispone già infatti di una mappatura georiferita, in quanto sono sparsi sul fondale.
Su tutti, saranno eseguite analisi archeometriche per i materiali e archeobotaniche per i residui organici e vegetali.
Una delle anfore recuperate, per esempio, ha conservato resti di noccioli di olive.
Le merci che arrivavano dalla Grecia
“La scoperta ci restituisce un dato storico sui flussi di mobilità nel bacino del mediterraneo – ha spiegato il Direttore dei Musei nazionali, Massimo Osanna – E’ un carico intatto che getta luce sulla prima fasi della colonizzazione greca in Italia meridionale, grazie anche allo stato di conservazione significativo che ci permette di capire quello che trasportavano: non solo cibi come olive, ma anche coppe da vino considerate beni di prestigio e molto apprezzate anche dalle genti italiche”.
Consuelo Terrin