Tra aprile e giugno gli italiani torneranno alle urne.
Non solo per le amministrative ma anche per esprimersi su cinque quesiti referendari ammessi ieri dalla Corte Costituzionale.
Al vaglio della Consulta, in realtà, i temi erano otto.
Tre, quello sull’eutanasia, sulla responsabilità diretta dei magistrati e sulla legalizzazione della cannabis sono stati dichiarati inammissibili.
Anche se, come è diventato chiaro in seguito alle dichiarazioni del presidente della Corte Giuliano Amato durante una conferenza stampa che si è tenuta al termine della seduta, in due casi, quello sull’eutanasia e l’altro sulla cannabis, perché posti in modo improprio.
Eutanasia e cannabis: ecco perché non sono stati ammessi
“Peccato che il referendum non fosse sull’eutanasia ma fosse sull’omicidio del consenziente. Questo avrebbe aperto all’immunità penale per chiunque uccidesse qualcuno con il consenso di quel qualcun altro”, ha detto Amato. Così facendo, “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana“.
Ugualmente, delle spiegazioni sono arrivate circa la dichiarata inammissibilità del referendum sulla legalizzazione della cannabis.
“Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum sulle sostanze stupefacenti, non sulla cannabis – ha detto il presidente della Corte Costituzionale – Il quesito è articolato infatti in tre sottoquesiti ed il primo prevede che scompaia tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, che non includono neppure la cannabis ma includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti. Già questo – ha continuato- sarebbe sufficiente a farci violare obblighi internazionali. Se il quesito è diviso in tre sottoquesiti, io non posso toccare questo treno: se il primo vagone deraglia – ha concluso -si porta dietro gli altri due”.
In Italia è già legale l’uso di farmaci a base di cannabinoidi sotto prescrizione medica per uso terapeutico. Non è legale invece l’uso ricreativo, anche se è stato depenalizzato ed è punito ora come reato amministrativo.
I quesiti referendari
Dunque su cosa andranno a votare gli italiani in primavera?
Su quesiti legati alla giustizia che, pur sembrando tecnici e di settore, in realtà ricadono sulla vita di molti cittadini.
La limitazione delle misure cautelari, per esempio.
Quanto una persona può restare in carcere prima che la giustizia si sia espressa sulla sua innocenza o colpevolezza?
Oppure l’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità poste dalla legge Severino a proposito della quale i sindaci, ha ricordato il presidente dell’Anci Antonio Decaro, hanno chiesto “da sempre una modifica perché ci ritroviamo, unica figura istituzionale, a essere sospesi per 18 mesi senza una condanna definitiva”.
Gli altri quesiti referendari riguarderanno la separazione delle funzioni dei magistrati, che dovranno scegliere se essere pubblici ministeri o giudici e l’eliminazione delle liste dei presentatori per l’elezione dei togati del Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura. Meno poteri alle correnti, dunque.
Se la Consulta ha bocciato il referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati (che, di fronte a un errore giudiziario, avrebbero quindi dovuto risarcire il malcapitato) è stato ammesso invece quello che riguarda l’inserimento, nei consigli giudiziari, del diritto di voto degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati.
Consuelo Terrin