Un libro ripercorre la storia della rivista e di un genere musicale che sopravvive alle mode. Venezia culla del reggae in Italia
Il reggae è Giamaica, ma non solo. E se l’Italia, al di fuori del Paese caraibico, è una delle nazioni in cui questo genere musicale ha maggiormente preso piede, insieme al Salento la “culla” del reggae italiano è Venezia.
E, nella realtà veneziana, il punto di riferimento del movimento è indubbiamente Steve Giant.
È stato infatti lui, 35 anni fa, a fondare “Rasta Snob”, l’unica rivista italiana interamente dedicata al reggae che, l’anno prossimo, festeggia l’importante anniversario con la pubblicazione di un libro dedicato proprio alla storia del reggae in Italia.
A Venezia un “reggae ambassador”
“Steve (al secolo Stefano Garzara, ndr) è stato spettatore, diretto e indiretto, degli oltre 30 anni di storia di questo genere musicale nel nostro Paese” spiega Andrea Manzo, giornalista e musicista (è tra i fondatori del gruppo Fahrenheit 451) che ha raccolto le testimonianze rielaborandole nel libro. “Lui è “giamaicano nello spirito” – continua Manzo – e non a caso si autodefinisce “reggae ambassador”. Così, in occasione di questa importante ricorrenza, abbiamo voluto riunire in un volume gli aneddoti, i racconti e le avventure collegate al reggae che Steve ha vissuto, dall’Italia alla Giamaica”.
Il libro è così una raccolta dell’enorme quantità di materiale sul tema raccolto da Garzara negli anni.
“Ha ancora, rigorosamente in cartaceo, tutte le line-up dei concerti a cui ha assistito”, rivela Manzo. Ma non solo. Filtrate attraverso il loro rapporto con la rivista, sono riportate le testimonianze-interviste delle storie di nomi di spicco del palcoscenico reggae italiano: da Alborosie, che ha curato la prefazione, a Bunna degli Africa Unite, a Skardy (già front man dei Pitura Freska).
Un genere che resiste
“Oltre a farmi raccontare come è nata la loro passione per il reggae – spiega l’autore dei testi del libro – ho provato a capire con questi musicisti dove sta andando questo genere, visto che, anche per il reggae, la pandemia ha tracciato una sorta di linea. E la conclusione è stata che se il momento d’oro del reggae è passato, a differenza del rock, che in molti sostengono che sia morto, potendo contare su una nicchia di appassionati molto fedele il reggae continua a piacere e a veder sorgere nuovi gruppi. È insomma un genere che ancora resiste rispetto a quello che, con l’evoluzione dei tempi, oggi va per la maggiore”.