La speranza di vita dei cittadini italiani è diminuita a causa della pandemia.
E questo dato, rilevato dal decimo Rapporto Bes sul benessere equo e sostenibile di Istat, non sorprende. Neppure, purtroppo, il fatto che il coronavirus abbia annullato per molti in un sol colpo i guadagni di anni di vita, creando “un arretramento che richiederà parecchio tempo per essere recuperato.
Ciò che invece sorprende da quanto emerge dai dati Istat relativi ai 12 temi presi in considerazione, è che, nonostante tutto, “migliora la soddisfazione dei cittadini”.
Quanto è felice da 1 a 10?
Il 44.5% degli intervistati nel 2020, alla richiesta di esprimere con un voto da 1 a 10 il grado di soddisfazione della propria vita, ha indicato un parametro tra 8 e 10. Nel 2019, quando le cose andavano decisamente meglio, aveva espresso valori così alti solo il 43,2% dei cittadini interpellati.
Permangono le differenze territoriali, con una maggiore percentuale di persone soddisfatte al Nord (48,4%), e livelli più bassi al Centro e nel Mezzogiorno (43% e 40%). I fattori determinanti per la diseguaglianza sono il territorio, il titolo di studio conseguito, l’ età e il sesso.
La perdita maggiore: i progressi sulla salute
Nel 2010 la speranza di vita degli italiani era di 81,7 anni. Nel 2019 di 83,2 . Il 2020 ha però intaccato fortemente i numeri, facendo scendere la media a 82,3. “Gli indicatori – ha rilevato il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo – hanno registrato impatti particolarmente violenti su alcuni progressi raggiunti in dieci anni sulla salute, annullati in un solo anno“.
Scuola : non ci sono uguali opportunità per tutti
La pandemia ha inciso anche su un altro indicatore: quello dell’istruzione.
“In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata– si legge nel rapporto Istat – .Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende ancora in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive”.Questo ha fatto sì che l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado non abbiano così potuto beneficiare per esempio della DAD, non abbia potuto prender parte alle video-lezioni con la propria classe. Un valore che purtroppo sale al 23% per gli alunni con disabilità.
Il divario con l’Europa
I risultati non smentiscono le premesse. L’Italia, dal punto di vista dell’istruzione, vede aumentare il divario con l’Europa.
Tra le persone in età compresa tra 25 e 64 anni intervistate dall’Istat nel secondo trimestre 2020, solo il 62,6% ha dichiarato di avere il diploma superiore (54,8% nel 2010); questo dato è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali.
Tra i giovani di 30-34 anni il 27,9% ha un titolo universitario contro il 42,1% della media Ue. Da segnalare come in Italia però questo dato abbia visto una netta crescita dal 2010 dove la percentuale era del 19,8%.
Niente studio né lavoro
Nel secondo trimestre 2020 il 23,9% dei giovani intervistati tra i 15 e i 29 anni hanno dichiarato di non studiare e di non lavorare.
“Incide particolarmente – afferma l’Istat – la componente dovuta all’inattività, specie nelle regioni del Centro-nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia”. In Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa.
Valentina Rossi