La presa di posizione del sottosegretario Mazzi contro il linguaggio offensivo usato nelle canzoni più ascoltate soprattutto dalle nuove generazioni
“Spiegheremo alle case discografiche che, se vogliono accedere alle varie forme di sostegno pubblico, devono smettere di produrre brani che non rispettano le donne”.
Con queste parole, rilasciate in un’intervista al quotidiano “Avvenire”, il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, ha spiegato il senso della proposta di istituire, all’interno del Tavolo permanente della musica, un gruppo di studio che ragioni sui testi spesso offensivi delle canzoni rap e trap, auspicando che si arrivi a una autoregolamentazione.
Una presa di posizione che fa seguito ai numerosi allarmi su questi generi musicali, i più seguiti in Italia (in particolare tra i giovani) secondo la classifica annuale di Spotify, non solo dopo l’arresto del rapper Shiva e le condanne di Simba La Rue e Baby Gang per rissa, rapina, lesioni e possesso illegali di armi.
Una ricerca del social media “Libreriamo” ha infatti evidenziato che quasi 6 canzoni su 10 contengono espressioni che istigano alla violenza sulle donne.
E ci si interroga sui possibili nessi tra questi brani e il boom di femminicidi o di violenze sessuali di gruppo.
Oltre agli appelli al boicottaggio dei brani che contengono frasi aggressive contro le donne avanzati dal Moige e dal Codacons, non sono così mancate le dichiarazioni-denuncia rilasciate da tante artiste. Tra queste, spiccano le parole dell’attrice Cristiana Capotondi, nel suo intervento a “In altre parole” su La7 dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin: “Come viene trattata la donna nella trap? Di cosa ci sorprendiamo, dunque, se un giovane di 23 anni considera una donna di 22 un oggetto tale per cui poi le toglie la vita?”.
I contenuti delle canzoni rap e trap
Dall’analisi dei testi di quasi 500 canzoni svolta da Libreriamo è emerso che, dopo autocelebrazione (presente nell’81% dei casi) e rabbia e delusione (77%), tra le tematiche più diffuse seguono violenza (61%), droghe (58%) e disparità di genere (55%).
Riguardo a quest’ultimo argomento, l’indagine sottolinea per esempio che la dominanza del sesso maschile, presente nel 63% dei brani, si accompagna nel 47% a una rappresentazione di un mondo in cui le ragazze sono solo un oggetto sessuale.
La donna amata, prosegue l’analisi, è molto presente (61%), ma nel 43% dei casi il cantante racconta storie di gelosia, spesso (59%) legata alla corte che gli fanno tutte le altre ragazze, che però non lo meritano.
Testi che “nutrono generazioni di adolescenti”
“Sono testi che fanno rabbrividire, che fanno orrore. Non sono provocazioni, non è fiction. Sono parole che uccidono le donne, la loro sensibilità, il loro coraggio”, commenta, sempre nella stessa intervista, Mazzi, che ha un passato di manager, autore e produttore musicale, oltre che di direttore artistico a Sanremo.
A loro giustificazione, gli artisti spesso ricordano la libertà di espressione e sottolineano come i loro racconti, pur ispirati alla realtà, sono pura finzione.
Ma non basta. Anche perché i principali fruitori di questa musica sono i giovani.
“I vostri testi – conclude il sottosegretario – nutrono generazioni di adolescenti: è folle e terribile avvelenarle”.
Con una serie di rischi: dall’emulazione degli idoli da parte dei maschi al rischio, sottolineato dagli psicologi, che le femmine, per essere accettate, si adeguino ai modelli proposti.
Termini e frasi “a rischio” di alcune canzoni
Uno dei termini più usati in riferimento alle donne dai rapper e dai trapper, anche quando si tratta di artiste lesbiche o comunque di sesso femminile, è per esempio “bitch”: letteralmente “cagna”, ma in gergo corrispondente a “str…” o “putt…”. Parola inglese ormai di uso comune nello slang giovanile, inserita normalmente in strofe che insultano, denigrano o peggio, facendo arrivare ai giovani la chiara sottostante idea di una “donna-oggetto”. E di cui si possono riportare numerosi esempi contenuti nelle canzoni.
In “Milano”, uno dei più noti esponenti del genere, Sfera Ebbasta, rappa: “Sul mio display la tua bitch fa lo strip per le tips”. Oppure, in “Tvtb”, Fedez e Dark Polo Gang, affermano che, le “bitch”, “le ordino a casa come su Deliveroo”. Ma non serve sempre il termine specifico. Emis Killa si spinge oltre con il verso “vorrei prenderla da dietro come in Assassin’s Creed” (il brano è “Nei guai”), ma riesce anche ad andare oltre in “3 messaggi in segreteria”, che ha portato ad annullare il concerto di Capodanno a Ladispoli.
Al riguardo, non serve commento: “Non dire di calmarmi, è tardi str… Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi”. Così come per “Xxx, part 2 Hardcore” di Gué Pequeno: “Serve una mazza e scalpello oppure il mio uccel… per arrivare lì in fondo per abbatterla, da dietro come un cane”. O per “Non è easy” di Shiva: “Se la tipa non vuol farlo, se la scop… i miei, gli va male perché dopo se la scop… in sei”. Per concludere la carrellata con Junior Cally che, in “Gioia”, afferma: “Si chiama Gioia perché fa la tr…”.
Rap e trap: dagli Usa al resto del mondo
Il genere rap, a onor del vero, ha ormai quasi 50 anni, essendosi affermato nella seconda metà degli anni ’70 dello scorso secolo a New York, all’interno della comunità afro e ispano-americana. Il termine, spiega l’autorevole dizionario Shorter Oxford English, risale però addirittura al 1541, riferito in quel caso non a un genere musicale, ma all’atto di “pronunciare bruscamente, vigorosamente o all’improvviso”. Ed esiste anche un verbo, “to rap”, col significato di “tamburellare su”, ma anche “dare pugni a”.
A contribuire alla sempre maggior diffusione anche al di fuori degli Stati Uniti del rap, caratterizzato da una base musicale ritmata tra gli 80 e i 120 battiti per minuto e da un testo in rima, pronunciato a tempo più che cantato, sono stati personaggi che hanno caratterizzato la scena musicale a cavallo tra i due millenni, anch’essi molto discussi, come Eminem.
Più recente, ma sempre con origine Usa, la trap, che prende il nome dallo slang di Atlanta, considerata la vera e propria “culla” del sottogenere.
Nella città della Georgia, il verbo “trap” si usa nel senso di “intrappolare”, ma è anche utilizzato nella locuzione “trap house”, che indica luoghi in cui si preparano e si vendono sostanze stupefacenti. Tra i primi a esportare il termine, nel 2003, il trapper T.I., che ha intitolato il suo secondo album proprio “Trap Muzik”.
In Italia, fondamentale per la diffusione del genere è risultato il già citato Sfera Ebbasta, con l’album “XDVR”, in un contesto che ha visto tra i primi esponenti Maruego, Jesto e Guè Pequeno, mentre ora tra i principali nomi figurano sicuramente Lazza e Capo Plaza.
Alberto Minazzi