Uno studio della Sapienza scopre il meccanismo che apre alla possibilità di sviluppare piante resistenti alle alte concentrazioni saline
L’aumento del sale nei terreni agricoli è uno degli effetti legati al riscaldamento globale di cui si stanno già iniziando a riscontrare gravi conseguenze in molte aree del nostro pianeta. Un problema che rischia di tradursi in una drastica riduzione delle risorse alimentari a disposizione dell’umanità.
Anche perché il ripetersi sempre più frequente di eventi climatici estremi ha portato all’aumento delle zone soggette ad alluvioni o, al contrario, a inaridimento.
Molte aree coltivabili sono dunque destinate a diventare quasi completamente sterili.
Anche quando le piante sopravvivono, il sale presente nel terreno provoca infatti una riduzione della loro crescita e, quindi, della loro resa in termini di produzione.
Verso piante resistenti al sale
Una ricerca del Dipartimento di Biologia e biotecnologie “Charles Darwin” dell’Università “Sapienza” di Roma, coordinata da Raffaele Dello Ioio, potrebbe però aver gettato ora le basi per trovare in prospettiva una soluzione al problema. E cioè sviluppare piante in grado di tollerare l’esposizione a elevate concentrazioni di sale. È l’obiettivo al quale apre lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Communications Biology”.
“Questo studio – commenta Dello Ioio – è seminale per la produzione futura di piante resistenti ad alte concentrazioni saline. Infatti, è plausibile che rendendo le radici delle piante insensibili alla presenza di sale nel suolo, queste potranno sopravvivere ed avere alta resa agricola anche se esposte a questo minerale”.
Le radici sono infatti il primo organo della pianta che viene a contatto con le sostanze presenti nel terreno. E la presenza di quantità elevate di sale scatena una reazione di segnali da cui derivano una serie di anomalie nello sviluppo dell’intero vegetale, fino a portarlo alla morte.
Il ruolo dei microRna della punta della radice
Il passaggio fondamentale è dunque l’individuazione del meccanismo molecolare che inibisce lo sviluppo delle radici in terreni e contesti di questo tipo.
Attraverso esperimenti di biologia molecolare, genetica e biologia computazionale effettuati sulla pianta dell’arabetta comune, scientificamente conosciuta come Arabidopsis thaliana e più volte utilizzata dagli scienziati come modello, è stato così possibile comprendere come le condizioni chimiche, fisiche e meccaniche del suolo interferiscano con lo sviluppo della radice alterando di conseguenza lo sviluppo della pianta in toto.
La chiave di volta, in tal senso, sono i due microRna 165 e 166: piccoli Rna non codificanti identificati in molti organismi e riguardo ai quali da oltre un decennio è stato scientificamente provato l’ampio coinvolgimento nello sviluppo delle piante.
Lo stress determinato nella pianta dal sale, si spiega nello studio dei ricercatori della Sapienza, riduce il dosaggio e i livelli di microRna, facendo nel contempo aumentare rapidamente la produzione della citochinina, ormone del merisistema apicale della radice. Ovvero di quella regione sulla punta della radice dove un insieme di cellule staminali indifferenziate autorinnovanti sostiene la crescita.
Alberto Minazzi