Un documentario e due libri. Tre opere fresche di realizzazione per raccontare in modo insolito e complementare la Venezia di acqua e di terra
Mi sono lasciato guidare dalle emozioni». Sei parole come i sei personaggi del film documentario. Così Carlo Mazzacurati sintetizza la sua opera. Il regista puntualizza in una nota il percorso di Sei Venezia. «Un anno a Venezia e in laguna. Da un autunno nebbioso ad un’estate, quella dell’anno scorso, particolarmente luminosa. Assieme a Giovanni, Roberta, Ernesto, Carlo, Ramiro e Massimo, sei persone che vivono qui. Sono stato con loro e loro si sono raccontati. Ogni luogo della terra ha una sua unicità, quello di Venezia io l’ho cercato attraverso questi sei esseri umani. Sullo sfondo scorre l’anno, a ciascuno di loro una stagione, un clima. Si sono susseguiti giorni di sole a giorni di pioggia, il freddo di gennaio all’afa di luglio, sere limpide ad altre caliginose. Le ambientazioni sono stati i luoghi in cui queste persone vivono o lavorano e gli spazi di terra e di acqua che attraversano: Mestre, l’hotel Danieli, Sant’Alvise, Burano, un bar vicino a San Marco e Sacca Fisola. La presunzione e la segreta speranza di questo lavoro era quella di cercare una chiave che aprisse le porte più segrete e invisibili della città, e raccontarla. Per me, veneto di terra e di provincia, un viaggio alla scoperta di un territorio sconosciuto». Non è semplice girare un documentario su Venezia. I rischi sono molteplici: retorica e luoghi comuni rendono più complicato il lavoro. Sono inoltre numerose le pellicole girate annualmente in città, con il centro storico che diventa nell’occasione l’attore protagonista, lo scenario, il tema, soggetto e oggetto di tanti discorsi e di tanti messaggi, più o meno artistici, più o meno commerciali. Carlo Mazzacurati ha scelto un percorso “autentico”, con personaggi “veri” che con semplicità e cuore descrivono la loro storia personale dove emerge anche la storia collettiva e quindi l’anima “vera” della città. Venezia, che spesso si vende e si compra con un’immagine “finta”, appare, attraverso la descrizione dei sei personaggi semplicemente “autentica”. D’altronde la scelta del regista di non ricorrere ad attori, che per professione esaltano artisticamente la “finzione”, ma di preferire cittadini comuni traccia già una strategia precisa, quella appunto “diretta” ed “autentica”, senza interpretazioni e senza mediazioni. Nei racconti traspare tutta la comunità anfibia: Venezia, Mestre, le isole, la laguna. Alla prima proiezione, al Pala Biennale al Lido, durante la Mostra del Cinema, viene proposta una chiave di lettura all’opera di Mazzacurati, con una domanda e una risposta. «Cos’è il sentimento di una città? Sono le sue strade, la luce che la illumina, sono le persone che ci vivono e le loro storie. È tutte queste cose ma anche qualcos’altro, qualcosa che richiede tempo e attenzione per essere colto. Sei Venezia va in cerca di questo sentimento percorrendo la città e la sua laguna, scrutandone le storie di sei dei suoi abitanti». Giovanni Galeazzi è un pensionato di Mestre che opera come volontario all’Archivio di Stato di Venezia, Roberta Zanchin è una cameriera d’albergo, carica di umanità e di buon senso, Ernesto Canal un affermato archeologo che con le sue ricerche ha dato un importante contributo alla storiografia veneziana, Carlo Memo un eclettico pittore-pescatore, Ramiro Ambrosi uno “fortunato nella sfiga”, ex ladro di appartamenti, Massimo Comin un simpatico e disinvolto ragazzino di Sacca Fisola. Sei storie, sei modi di vedere Venezia.
MESTRE PER LE STRADE: 21 racconti e 3 poesie, le strade per spiegare l’identità cittadina
DI NICOLA PELLICANI
Una grande città contemporanea. Una città moderna, vitale, metropolitana, raccontata con gli occhi di una ventina di mestrini. “Mestre per le strade” non è solo la prima opera letteraria, ambientata e dedicata a Mestre, ma è soprattutto l’occasione per riflettere sulla città di oggi. Stiamo parlando del primo libro scritti da autori mestrini o comunque legati alla città perché‚ ci sono nati, o ci lavorano, o ci sono tornati dopo anni. Si tratta di una novità assoluta anche nell’editoria italiana. Il libro è curato da Massimiliano Nuzzolo, edito da Azimut nella collana che comprende volumi dedicati a Roma, Milano, Napoli, Praga e il Brasile. Raccoglie 21 racconti di altrettanti autori – esordienti assoluti accanto a scrittori noti – più tre poesie in apertura. Il libro parla quindi di una grande città, la nostra città che va ben al di là dei confini municipali e rappresenta una dimensione metropolitana del Nordest, con al suo interno il porto, l’aeroporto, un’area industriale sterminata e un cuore urbano effervescente, denso di attività e ricco di fermenti culturali. “Mestre per le strade” ruota attorno ai luoghi più significativi della città, ma è un libro che offre anzitutto l’opportunità di decifrare il carattere della città, la sua anima, fatta di persone, prima ancora che di luoghi, di riti giornalieri, di incontri e di altro ancora. Il libro è quindi l’esatto opposto di una raccolta di racconti sulla vecchia Mestre. In una battuta il libro, forse incosapevolmente, rappresenta un contributo straordinario per descrivere l’identità mestrina, al di fuori di sterotipi e luoghi comuni. Vale a dire che è uno strumento efficacissimo per capire come non ci sia un mitico passato da riscoprire. Tantomeno una città-cenerentola, cresciuta all’ombra di Venezia, da consolare. Ma non è solo questo. Il libro è la conferma che non è più nemmeno il tempo di rivendicare l’orgoglio mestrino, perché‚ anche l’esibizione del Mestre-pride – che poi è sempre un modo per distinguersi da Venezia – è diventato un esercizio inutile. L’identità di Mestre, la sua anima più profonda, sta nell’essere quella città contemporanea che viviamo quotidianamente. Fatta di ricordi, personaggi, sguardi, incontri e storie che si sono stratificate nel corso del Novecento fino ad arrivare alla città di oggi. Questa è la Mestre che conosciamo e questa è la città che esce dal libro. Ventuno racconti, ognuno ambientato in un quartiere. Si diceva, che il libro è il contrario di un testo nostalgico del passato. Il passato che c’è, è un passato che brucia, come quello di Ferruccio Brugnaro su un vecchio bar di Ca’ Emiliani che nessuno frequenta più ma i titolari, Anna e Armando, restano lì. Le poesie si mischiano con i racconti. Iniziando da quello di Roberto Lamantea: la città “United Colors of Actv” vista dall’autobus. Il teatro del mondo di chi, schiacciato nella ressa dei pendolari, si porta dentro la propria solitudine. Ma c’è anche il liceo classico Franchetti di corso del Popolo visto da Leandro Barsotti con l’affettuosa ironia (e autoironia) di uno studente. E c’è la “movida”mestrina in piazza Ferretto che rimanda allo “Spritz Time” di Ugo Sette. Mentre il parco della Bissuola è lo scenario di “This land is your land” di Renzo Di Renzo, la difficile coabitazione multietnica. Sul tema del “diverso da noi” Di Renzo ha scritto il bel racconto Nero (Einaudi), dove un cane nero abbandonato e un bambino nero immigrato sono destinati a incontrarsi. La “via Pal” dei Sabbioni, periferia della periferia, è al centro di “Andate, Ritorni” di Luciano Bertolucci. “Primo tentativo di esaurimento di un luogo Mestrino”, ovvero piazzale Candiani, è invece il testo di Annalisa Bruni, dove la scrittrice propone un’analisi “scientifica” di uno dei nuovi luoghi della mestrinità attraverso un omaggio a Perec. Ѐ poetica Tiziana Agostini in “Primavera in via Giordano Bruno”: il percorso di una bambina nel cuore di Mestre in due delicate paginette. “Strana ma bella, pensò lui sotto la torre” è il titolo di Gianluca Morozzi, tra amori e letteratura. Massimiliano Nuzzolo – autore tra le altre cose di una deliziosa personale Spoon River, Tre metri sotto terra – in “Jurassic Punk” gira per Carpenedo e scopre che proprio lì Steven Spielberg sta girando un film. “Una storia del viale”, un piccolo eroe calcistico di viale San Marco, è la proposta di Emanuele Pettener. Monique Pistolato – il nome è francese come la sua nascita, Parigi – si conferma scrittrice sensibilissima in “Seni verdi”, il ritorno a Mestre dopo tanti anni e la scoperta di una città nuova. “Man” di Nadir Tacchi (l’unicafirma pseudonimo del libro) ci accompagna invece a scoprire (in tutti i sensi) i “lussuriosi tesori” del Terraglio, strada a luci rosse. “Ciccio è tornato” di Mitia Chiarin ci porta a Macallè e in via Piave, dove un ladro sgangherato da cinema neorealista si nasconde fingendosi manichino in vetrina. E invece il passaggio tra civiltà contadina e urbanizzazione al centro di “Spesso guardando un determinato edificio” di Massimo Rossi, mentre Elisabetta Rosadi ci riporta a una data terribile, 6 maggio 1976, il terremoto in Friuli vissuto in piazza Mercato a Marghera. Restiamo a Marghera con “La strada senza carreggiate”, ovvero via Fratelli Bandiera, di Antonella Prigioni. Davide Tessari gira per via Fradeletto a tempo di rock in “It’s hard to be a saint in the city”. E “goloso” il racconto di Riccardo Petito, “La torta”: amori e dolci tra via Dante e via Cappuccina. Raffaele Rosa guarda “Fuori dalla finestra” lo stadio Baracca dagli occhi di Paolo, bambino di 11 anni, fino agli anni del terrorismo. Valeria De Lazzari gira “In bicicletta per le strade di Favaro”, luogo dell’infanzia e del ritorno. Tante strade, tante direzioni per la stessa città.
SENTIERI NEL TEMPO: trekking urbano a Marghera
DI CARLO RUBINI
Può sembrare una stravaganza la proposta di camminare con tre itinerari di svariati chilometri attraverso Porto Marghera e Marghera: solo camminare, dall’inizio alla fine, con marcia lenta, ma regolare e cadenzata. Può sembrare una stravaganza anche nello stesso contesto del turismo industriale ed archeo-industriale, questo forse non più considerato stravagante,ma certo ancora, come si suole dire, di nicchia. La proposta è invece una cosa molto seria, lo si creda o no, oltreché divertente nella sua trasgressività, dal momento che si riappropria del modo più naturale, l’andare a piedi, per capire, vedere ed entrare progressivamente in un luogo o in più luoghi. Standoci realmente dentro, senza fuggirne. Con il mezzo meccanico più o meno veloce invece, a farci caso, dai luoghi si scappa in continuazione senza riuscire a coglierne l’anima. Camminare a Porto Marghera scompagina inoltre l’idea conformistica che il camminare, per non sembrare proprio stravagante, come viene comunque considerato dall’opinione di massa, richieda almeno attorno a sé il bello e l’aggraziato o il naturale o ciò che nell’immaginario comune è storicamente codificato come antico e considerato, chissà come e perché, più bello, più attraente, più interessante del nuovo e del contemporaneo. E il Novecento, il secolo di Porto Marghera, non è ancora stato metabolizzato come antico. Del resto la Venezia stereotipata che si trova appena lì accanto a far contrasto, con il suo essere percepita come antica e quindi stereotipatamente come bella, è emblema di questo conformismo. Suo malgrado, perché poi, si sa, bella lo è veramente. Muoversi in questo luogo che è Porto Marghera in realtà abbatte e rimescola virtuosamente le categorie del bello e del brutto, di natura e cultura. A Porto Marghera gli spazi non mancano ed anzi, ad un’osservazione attenta, solo il camminare fa realmente percepire uno dei caratteri riconoscibili di quest’area, vale a dire il suo essere fuori scala nelle superfici rispetto agli spazi urbani storici in cui è inserita e che la circondano. Ѐ sufficiente, anche se non basta, osservare una qualsiasi carta geografica della superficie comunale di Venezia per rendersi conto che lo spazio occupato dall’insieme di Porto Marghera è ben superiore a quello del centro storico lagunare e dell’intera terraferma urbanizzata messi insieme. E questo fuori scala, ancora una volta, lo si apprende realmente, lo si conferma, muovendosi a piedi per chilometri e chilometri, con distanze con cui tranquillamente si attraverserebbe da parte a parte una città medio grande. Ancora di più: qui sembra di camminare all’infinito. E infinita è la dimensione che in fondo ha animato la consapevolezza metropolitana degli uomini moderni. Porto Marghera è uno spazio più o meno volutamente metropolitano, anche se atipico, perché ha in più qualcosa che lo diversifica da altri contesti di tal specie, spesso molto più mescolati con le residenze e cresciuti più gradualmente. Questo per ciò che riguarda lo spazio. Poi a incrociarsi con lo spazio c’è il tempo, che si dipana solo in pochi decenni, una distanza temporale minima per la dimensione storica, ma che qui, con i suoi sospesi, si dilata come una vasta e distesa saga epocale. Muoversi a piedi per Porto Marghera provoca infatti una riflessione continua sulle tre dimensioni temporali di passato, presente e futuro, che si accostano e si contaminano, esercitando il visitatore in una continua decodificazione di quel che vede, di quello che avrebbe visto un tempo, e che non può più vedere, e di quello che vedrà o potrebbe vedere tra uno o due decenni. La sinergia tra Enel e Trekking Italia, associazione nazionale di escursionismo a piedi, con sede anche a Venezia ha prodotto un volumetto di itinerari a piedi per Porto Marghera. “Sentieri nel tempo”, una guida per riportare quelle esperienze arricchendole di notizie e di suggestioni capaci di una lettura del territorio informativa, ma anche emotiva ed estetica.
DI GIORGIO CROVATO
Arte e Cultura +
RACCONTARE LA CITTÀ
6 Dicembre 2011