Una campagna di scavi nell’isola della Laguna Nord per scoprire l’altra storia di Venezia sfatando alcuni falsi miti
All’orecchio di un residente in Laguna o nei territori circostanti, il nome Torcello rimanda alla culla originale da cui si sarebbe nel tempo sviluppata Venezia. Solitamente questa prospettiva va poi a collegarsi all’immagine mentale di una grande fuga per la salvezza compiuta dagli abitanti di Altino e dintorni allo scopo di non soccombere alle temibili incursioni degli Unni di Attila. A ogni bambino in gita scolastica viene persino indicato il trono in pietra del terribile condottiero nomade; e non è difficile figurarselo ad emanare crudeli editti protetto da un cordone di guerrieri.
La realtà che emerge dalle valutazioni storico-archeologiche, però, lascia poco spazio alle suggestioni leggendarie. Ed ecco allora che, come il trono (che nulla ha a che fare con il Flagello di Dio) passa ad essere lo scranno probabilmente utilizzato dai funzionari deputati all’amministrazione della giustizia, così la nascita dell’insediamento va a porsi in altra, precedente epoca e per dinamiche diverse da un esodo di altinati in fuga.
«Effettivamente – spiega Elisabetta Zendri, docente di Ca’ Foscari e responsabile degli scavi effettuati a Torcello quest’estate – abbiamo frammenti del I e del II secolo d.C., quindi ben antecedenti alle scorrerie degli Unni del V secolo nel Nord Italia. Quello di quest’anno è il secondo momento di indagine sul campo: nel 2014 c’è stato il primo e per il prossimo anno è in programma una terza fase. I dati raccolti in questo 2017 hanno già confermato diverse intuizioni maturate gli anni scorsi».
La serie di scavi, quella da poco conclusa, è stata chiamata “Torcello Abitata – Voices Of Venice” e si è inserita nel solco di una progressiva ridefinizione dei livelli di urbanizzazione dell’isola in epoca tardo romana e alto medievale. Se già nei primi secoli dopo Cristo il luogo era abitato da una comunità ben radicata, stabilitasi lì per la posizione strategica in ottica portuale e commerciale, è dal VII secolo in poi che l’insediamento assume connotazioni più complesse.
Abitazioni in legno, tracce di campi coltivati, zone per l’allevamento di bestiame e persino un’officina vetraria sono state nel corso degli anni regalate dal terreno che per secoli e secoli le aveva custodite. Nel 2017 una struttura è stata indagata con particolare attenzione: un imponente edificio porticato, risalente al VII secolo, dotato di un magazzino verosimilmente deputato allo stoccaggio di merci trasportate via barca. Un vero e proprio sistema di ambienti collegati a un ampio molo, nei pressi dei quali sono state ritrovate diverse anfore africane e mediterranee.
«L’indagine punta non solo al recupero degli edifici, ma anche alla ricostruzione delle abitudini di vita degli antichi torcellani. Le attività principali erano pesca, commercio, agricoltura e artigianato. La loro dieta era a base prevalentemente di pesce, verdura, frutta, carne di animali da cortile e ovina. I bovini probabilmente venivano più che altro utilizzati come strumenti di lavoro e macellati solo in vecchiaia. Altro elemento interessante era l’abitudine alla stratificazione urbana. Le dimore venivano costruite su quelle precedenti, riutilizzando lo stesso materiale».
È databile tra il IX e il XII secolo un abitato altomedievale costituito da confortevoli case in legno, probabilmente a due livelli. Al piano terra si svolgevano le attività artigianali e commerciali e al primo piano si praticava la vita della famiglia. Erette sopra una grande piattaforma di argilla che serviva a rialzarle ed isolarle termicamente, le abitazioni si affacciavano sull’acqua, via esclusiva di comunicazione tra un settore e l’altro dell’insediamento. In mezzo agli edifici si trovavano cortili, sviluppati intorno a “pozzi alla veneziana” che sfruttavano un complesso sistema di filtri per utilizzare l’acqua piovana e perfetti come teatro delle diverse faccende da condurre all’aperto.
«”Torcello Abitata” risulta un progetto di ricerca innovativo. Archeologi e archeometri, figure queste ultime deputate allo studio scientifico dei materiali antichi e solitamente relegate all’ambito laboratoriale, lavorano fianco a fianco in situ, stimolandosi reciprocamente. Si può inoltre parlare a buon diritto di “Archeologia partecipata”. Esiste cioè un contatto costante con il pubblico tramite visite guidate tenute in italiano e inglese, così che gli ospiti possano interagire con gli esperti e fisicamente tenere in mano alcuni reperti. È un modo per rendere la cultura più accattivante, e siamo molto soddisfatti della risposta dei visitatori. Per quanto riguarda il rapporto con le persone residenti nell’isola (20 al 2 febbraio 2017, ndr) si è instaurata una relazione fantastica: i nostri ragazzi, i sette borsisti di Ca’ Foscari che operano sul campo, sono stati praticamente “adottati” dagli abitanti, uomini e donne di una gentilezza unica».