La varietà di culture e territori. La tradizione artigianale e industriale. Il fascino esercitato in tutto il mondo dal nome di Venezia. Nel momento più nero della crisi, sono queste le risorse da cui il territorio metropolitano di Venezia, Padova e Treviso potrà ripartire, dicono Joel Kotkin, Dipak Pant e Michele Boldrin, economisti intervistati da Reyerzine. Che però mettono in guardia: le virtù del passato da sole non sono sufficienti, vanno adattate ad un contesto diverso, globale. Bisogna tornare a progettare, dando al “marchio Venezia” un respiro rivolto al futuro. E creando una regia capace di indirizzare le diverse forze del territorio metropolitano verso un obiettivo comune.
Che la missione sia urgente, da “ora o mai più”, lo dicono i numeri dell’economia regionale. Nel 2012 il Veneto ha visto il proprio Pil contrarsi dell’1,9%, mentre il tasso di disoccupazione quest’anno dovrebbe salire all’8,3%. Cifre migliori delle media nazionale (-2,4% il Pil, disoccupazione già oltre l’11%), ma deludenti per un territorio abituato negli ultimi decenni a trainare il Paese. Anche nel 2013, avverte Unioncamere, il prodotto del territorio, gli investimenti e i consumi delle famiglie continueranno a calare.
La ripresa, insomma, resta lontana. In un’Europa che ristagna, vittima della sua stessa austerità, le rigidità del contesto italiano aggravano la situazione. Michele Boldrin, professore di Economia alla Washington University di St. Louis, le sintetizza così: «Uno stato che tassa senza produrre, che non garantisce sicurezza dei contratti ed efficienza giudiziaria, che non facilita l’innovazione e la ricerca avanzata». Oltre ai limiti di sistema però, ce ne sono altri specifici del sistema produttivo territoriale. Orientato all’export (+3,7% anche nel 2012), ma con imprese medio piccole, spesso a conduzione familiare, che faticano a competere su un mercato globale.
«Questo modello può essere ancora vincente, ma va rafforzato sotto diversi punti di vista», dice Dipak Pant, professore di Economia e Antropologia all’Università Carlo Cattaneo di Varese. «Economicamente, aumentando l’efficienza nella gestione del lavoro. Socialmente, facilitando il dialogo tra soggetti pubblici e privati. Ma anche culturalmente, stimolando gli imprenditori ad aggiornarsi e acquisire nuove prospettive».
Una riforma che passa quindi da un diverso rapporto con la tradizione, specie nella manifattura. Joel Kotkin, professore alla Chapman University in California ed esperto di sviluppo urbano, cita come modello i prodotti lanciati da Steve Jobs, fondatore di Apple, per la loro capacità di coniugare bellezza e tecnologia. «Molto prima che si parlasse di distretti, nel 1400, Venezia lo era già a livello di specializzazione e produzione artigianale», dice. «Questa mescolanza tra arte e manifattura è il più importante patrimonio che la storia ha tramandato. E le nuove tecnologie non sono un sostituto del saper fare, ma un moltiplicatore di competitività in grado di valorizzare il bello e liberare il potenziale produttivo dell’artigianato industriale».
La prima risorsa, in questo senso, è proprio la capacità di attrazione che Venezia e il suo territorio esercitano all’estero. Nel 2012 le entrate turistiche della Regione hanno superato per la prima volta la soglia dei 5 miliardi di euro, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente. «Ma questa celebrazione del passato va affiancata con un’idea di futuro», sostiene Pant. «Il primo passo è elaborare uno scenario convincente di medio-lungo periodo: che cosa sarà quest’area tra 10 o 20 anni? Attorno a questo vanno poi convogliati tutti gli sforzi, privati, pubblici, civili ed imprenditoriali. E organizzata la rete di contatti e scambi con il resto del mondo, sul piano commerciale e su quello culturale».
Un marketing del territorio che, riconosce anche Boldrin, non possono essere i singoli imprenditori a gestire. Ma che va organizzato e pianificato in una logica di sistema. La scala giusta potrebbe essere allora quella della città metropolitana che riunisca i territori di Venezia, Padova e Treviso sotto un’unica entità amministrativa. «A patto che non indebolisca le identità locali – avverte Pant – e che non si trasformi in un carrozzone burocratico».
Struttura leggera quindi, in grado però di dare un governo a una realtà produttiva e culturale che di fatto già esiste, sviluppatasi nei decenni tra le province del Veneto Orientale. «Ma finora senza servizi integrati, senza un cervello, senza luoghi deputati ad agire come centri nevralgici del sistema, fattori di aggregazione e di spinta», dice Boldrin. Le priorità della nuova entità, secondo il professore, dovrebbero essere proprio l’educazione, la valorizzazione del talento, la creazione di una rete tra centri di ricerca e aziende: «Questo deciderà se quest’area metropolitana sarà un’anonima Santa Fe o una vera e innovativa Silicon Valley, con le sue Stanford e Berkeley, le sue università di eccellenza», conclude. «Ma c’è bisogno di una nuova classe dirigente per farlo. Ed il tempo utile si sta consumando».
DI FILIPPO SANTELLI