“Raccontare Venezia” di Wilma Labate: alla scoperta dei luoghi dei film memorabili sulla città
In quanti modi si può raccontare Venezia?
Le sue atmosfere, i suoi luoghi e i suoi stessi personaggi hanno da sempre affascinato artisti, scrittori e registi, che non hanno rinunciato ad ambientare in città i loro film sfidando una superstizione comune tra i cineasti: quella che Venezia in qualche modo portasse male. Bella, era bella. Ma i film non vendevano.
«Era così. I produttori, molti anni fa, pensavano che il tono malinconico, che a Venezia si porta dentro alle cose che fai, potesse nuocere al botteghino e forse, in alcuni casi, questo si è verificato. Oggi la situazione è cambiata e anche quel concetto di malinconia assume un significato diverso». A spiegarlo è Wilma Labate, regista romana che alla 74^ Mostra Internazionale del Cinema ha presentato il suo ultimo documentario: “Raccontare Venezia”. Accolto con favore, il suo lavoro è una pennellata delicata su una tela fragile ma già ricca di immagini disegnate da altri colleghi che, con i loro film, hanno segnato il meglio della storia del cinema girato a Venezia negli ultimi cinquant’anni.
Attraverso il girovagare della protagonista, una giovane attrice curiosa e attenta, Wilma Labate entra a Venezia in punta di piedi, quasi temesse di disturbare. Punta il fuoco della telecamera soprattutto sulle aree meno note della città e, aiutata dalla narrazione di aneddoti da parte di alcuni locali, racconta Venezia attraverso la filmografia in salsa veneziana. «Venezia è un set molto ricco, paradossalmente per certi aspetti molto difficile ma per altri molto facile. Lo dice anche Michael Radford (il regista de “Il mercante di Venezia”, ndr): in fondo abbiamo usato delle semplici bottiglie per fare la pioggia e avevamo già il Seicento. La città è piena di seduzioni e di luoghi suggestivi ma noi abbiamo cercato di rifuggire da quelli deputati al grande turismo, cercando di raccontare, se esistono ancora, i luoghi abitati ancor oggi dai veneziani».
Il documentario è una libera rivisitazione del libro “Storie di cinema a Venezia” di Irene Bignardi: un itinerario lungo i film più disparati che, girati a Venezia, la raccontano ciascuno dandole un senso e un’interpretazione diversa. Da “Senso” e “Morte a Venezia” di Luchino Visconti al “Casanova” di Federico Fellini (interamente girato a Cinecittà) passando per l’”Otello” di Orson Welles fino a “Pane e Tulipani” di Silvio Soldini, o a “Chi lavora è perduto” di Tinto Brass. “Raccontare Venezia” è una riscoperta di luoghi e di film memorabili, che, al di là di come siano andate le cose al botteghino, restano nella storia della città. «Chi lavora è perduto, di Tinto Brass, è un film meraviglioso, che io invito tutti a rivedere perché scopre una Venezia raccontata alla perfezione da un veneziano. È un film del 1963, ma è di una modernità assoluta».
Il girovagare per Venezia del protagonista è anche il girovagare della giovane attrice di Raccontare Venezia, che tra i luoghi più desueti cerca l’autenticità di una città «con cui ho un rapporto conflittuale, in quanto mi divido tra una profonda ammirazione e un sentimento di distacco, perché sento che chi ci vive soffre il turismo. Poiché a Venezia ci si sente turisti in tutti i sensi, si prova un leggero imbarazzo, come quasi a volersi scusare con i veneziani per questa invasione».
Co-protagonista di ogni film che vi è stato girato, con le difficoltà che pone nel momento in cui diventa set e nonostante la superstizione della malasorte al botteghino, girare un film a Venezia «offre sempre un compenso perché, rispetto ad ogni altra città, c’è sempre un’emozione in più che resta impressa alla pellicola. In questo Venezia, resta sempre molto generosa».