Il DNA riscrive la storia della tragedia che ha colpito Pompei nel 79 d.C
Immaginate una scena di presepe, con le statuine disposte a simboleggiare la famiglia perfetta: madre, padre e figli, tutti in armonia intorno alla mangiatoia.
Ma cosa succede se spostiamo le statuine e scopriamo che quella che sembrava una madre con un bambino non è affatto tale, e che un altro personaggio che credevamo un genitore non è nemmeno imparentato con gli altri?
L’interpretazione del presepe cambia radicalmente, e così anche la storia di Pompei.
Due estranei destinati a restare uniti nei secoli
Per molto tempo, uno degli scenari più iconici di Pompei, quello di una madre che tiene in braccio un bambino, è stato letto come l’immagine di una relazione familiare.
Ma oggi, grazie a un’innovativa ricerca genetica, quella stessa scena rivela che la figura di donna accanto al bambino era in realtà un uomo e che di quel “figlio” non era nemmeno un parente.
Per quel ragazzino sicuramente spaventato al quale ha cercato di dare aiuto, era semplicemente un estraneo destinato a restare insieme per i futuri secoli.
Il DNA antico sta riscrivendo la nostra comprensione della vita a Pompei.
Grazie all’estrazione del materiale genetico da alcuni dei calchi di gesso degli abitanti sepolti nell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. la ricerca guidata dall’Università di Harvard con la collaborazione dell’Università di Firenze, ha fatto un passo avanti nel decifrare la vera identità degli abitanti di Pompei.
Ottenendo per la prima volta informazioni sul sesso, sulle relazioni di parentela, sull’ascendenza delle individui sepolti. E rilevando alla fine che molte ipotesi fatte dai ricercatori del XVIII secolo, sulla base di elementi visivi e delle posizioni dei corpi, erano sbagliate.
L’antica Pompei, città di migrazioni e di scambi commerciali
Non solo riguardo i dati genetici delle vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ma anche alla composizione della città.
L’antica Pompei, infatti, con le nuove acquisizioni risulta esser stata una città cosmopolita: molti suoi abitanti discendevano da immigrati provenienti dal Mediterraneo orientale, suggerendo che la città fosse un crogiolo di culture diverse, dove scambi commerciali e migrazioni erano la norma. Ma c’è di più: queste scoperte genetiche ci offrono anche una nuova riflessione sulla solidarietà umana in tempi di tragedia.
La storia vista con occhi nuovi
In una città devastata da un cataclisma naturale, come quello che ha raso al suolo Pompei, le relazioni di parentela e di familiarità perdono di significato di fronte alla morte che non fa distinzioni. La tragedia ha unito persone che, in quella frazione di tempo, non si conoscevano e le ha costrette a proteggersi a vicenda.
Così, il bambino che si pensava fosse nelle braccia di sua madre potrebbe non essere stato altro che un uomo accanto un altro compagno di sventura.
Le storie dei pompeiani non sono cambiate nell’essenza, ma grazie al Dna possiamo vederle con occhi nuovi.
In un certo senso, oggi siamo noi a “spostare le statuine” di Pompei, cercando di dare una lettura più precisa di quella che fu una tragedia collettiva.