In missione per scoprire pianeti abitabili: intervista a Isabella Pagano, direttrice dell’ Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
PLATO è la terza missione di classe media del programma Cosmic Vision 2015-2025 dell’Agenzia Spaziale Europea. Con un lancio previsto per la fine del 2026, la missione sarà operativa, quasi venti anni dopo essere stata concepita e proposta all’ESA, per realizzare un obiettivo rimasto senza risposta, malgrado i molteplici passi avanti fatti dalla ricerca nel campo dei pianeti extrasolari negli ultimi decenni: scoprire pianeti di tipo terrestre nella zona abitabile attorno a stelle simili al Sole.
Attraverso misurazioni precise di dimensione, massa ed età, PLATO contribuirà a determinare l’abitabilità di questi pianeti. Inoltre, realizzerà un censimento dettagliato di migliaia di pianeti, da quelli rocciosi a quelli giganti gassosi, per studiare la formazione, l’evoluzione e l’architettura dei sistemi planetari.
Per conoscere i dettagli della missione abbiamo intervistato Isabella Pagano, direttrice scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
Esperta di pianeti extrasolari e attività magnetica stellare, Isabella Pagano è stata direttrice dell’Osservatorio Astrofisico di Catania tra il 2019 e il 2024; negli ultimi vent’anni ha guidato numerosi progetti strumentali e scientifici, tra questi la partecipazione italiana alla missione Cheops e la preparazione della missione PLATO di cui è co-Principal Investigator. Fa parte del Board of Reviewing Editors della rivista Science dell’American Astronomical Society.
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Direttrice Pagano, quali sono le caratteristiche della dotazione tecnologica della missione PLATO?
PLATO è progettato per rilevare e studiare esopianeti in orbita attorno a stelle luminose. La caratteristica delle telecamere, di cui è dotato, è il loro largo campo di vista pari a 1027 gradi quadrati, quasi 5200 volte la dimensione della Luna piena. Questo enorme campo di vista è stato reso possibile grazie al progetto ottico dei telescopi con apertura 20 cm. I telescopi sono costituiti da un sestupletto di lenti, di cui una asferica, realizzate con cinque tipi di vetro accuratamente scelti per garantire la massima qualità ottica nell’ambiente spaziale in cui il satellite dovrà operare caratterizzato da temperature comprese tra -70°C e -90°C.
Le telecamere “normali” sono raggruppate in gruppi di sei e ciascun gruppo punta in una direzione del cielo distante 9 gradi dalla verticale al banco ottico, in quattro direzioni tra loro opposte. In questo modo, i campi osservati da ciascun set di telecamere sono parzialmente sovrapposti e il campo visivo totale copre un’area di cielo equivalente a 10.500 volte la dimensione della Luna piena.
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Ci può descrivere nello specifico la tipologia di telescopi utilizzati?
PLATO ha a bordo una batteria di 26 telecamere che raccoglieranno la luce di centinaia di migliaia di stelle brillanti, per lo più simili al Sole. Ogni telecamera è composta da un telescopio, che indirizza la luce raccolta verso rilevatori CCD alloggiati nel piano focale fornito di una propria elettronica di controllo. Ogni telecamera è ricoperta da un isolante multistrato (MLI) e fornita di una serie di resistori e sensori per controllarne la temperatura. Due delle telecamere, dette “veloci, sono ottimizzate per osservare stelle molto luminose e servono anche per la guida precisa del satellite. Esse osservano con una cadenza di 2,5 secondi. Le altre 24 telecamere, dette “normali”, osservano con una cadenza di 25 secondi e utilizzano 4 CCD da 4510×4510 pixel ciascuno.
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Qual è il ruolo dell’ASI nella missione?
L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) svolge un ruolo fondamentale in PLATO, finanziando e supervisionando, con il supporto scientifico e tecnologico dell’INAF, le attività industriali necessarie alla realizzazione del payload del satellite per la parti prese in carico dal nostro paese: i telescopi (TOU) e il computer di bordo (ICU). Entrambi i contributi sono stati progettati in INAF, e realizzati, dopo una fase di ingegnerizzazione, rispettivamente dalla Leonardo S.p.a. e dalla Kayser- Italia. L’ASI inoltre finanzia le attività scientifiche necessarie alla preparazione della missione, tra queste vanno ricordate le attività relative alla selezione delle porzioni di cielo da osservare e delle stelle attorno a cui cercare pianeti, coordinate dall’Università di Padova. L’ASI inoltre contribuisce al ground segment della missione con il suo SSDC (Space Science Data Center), dove viene gestito e continuamente aggiornato il catalogo di input in collaborazione con il Science Operation Center della missione gestito dall’Agenzia Spaziale Europea. Infine, ASI supporta il team italiano basato in INAF che coordina, all’interno del PLATO Mission Consortium, le attività di assemblaggio e verifica delle telecamere di PLATO, cui contribuiscono 11 paesi europei.
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Lei è Direttrice Scientifica INAF e Co-Principal Investigator della missione, in cosa consiste il ruolo dell’INAF?
L’INAF ha un ruolo centrale nella missione PLATO: coordina la progettazione ottica e lo sviluppo delle telecamere, fornisce supporto tecnico-scientifico e supervisiona le attività industriali. Il nostro team lavora a stretto contatto con le industrie italiane ed europee per assicurare che tutte le componenti rispettino gli elevati standard richiesti dall’ESA. Inoltre, contribuiamo alla pianificazione delle osservazioni e all’analisi dei dati scientifici.
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Finora sono stati osservati 5000 esopianeti, quale sarà il compito specifico di PLATO?
La maggior parte degli esopianeti noti si trova entro un raggio di qualche migliaio di anni luce dal Sistema Solare. PLATO si prefigge di scrutinare le stelle simili al Sole a noi più vicine per scoprire sistemi planetari che siano simili al Sistema Solare. Sebbene il metodo dei transiti utilizzato dal satellite PLATO sia efficace per trovare pianeti anche attorno a stelle molto distanti, la scelta di analizzare i sistemi a noi più vicini è dovuta a voler studiare in modo dettagliato quelli individuati, eseguendo spettroscopia ad alta risoluzione per misurare la massa dei pianeti trovati e per lo studio delle loro atmosfere. Questi studi sono possibili solamente per stelle vicine in quanto la quantità di luce che giunge sui nostri strumenti, tanto minore quanto maggiore la distanza della sorgente, diventa via via insufficiente per consentire queste misure per i pianeti più distanti.
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Come possiamo classificare gli esopianeti finora mappati?
Gli esopianeti sono classificati in base alla loro composizione e dimensione. Le categorie principali includono i Pianeti terrestri, simili alla Terra, composti principalmente da roccia; le Super-Terre, più grandi della Terra ma ancora rocciose; i Giganti gassosi come Giove e Saturno, costituiti da gas e i Nettuniani, pianeti di dimensioni intermedie, con una composizione simile a Nettuno.
PLATO ha come principale obiettivo individuare pianeti terrestri e super-Terre in orbita nelle regioni abitabili di stelle di tipo FGK, e cercare pianeti giganti, se ve ne fossero, in sistemi planetari di stelle di tipo M.
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Esopianeti ritenuti potenzialmente abitabili: finora ne sono stati trovati?
Sì, alcuni esopianeti si trovano nella cosiddetta “zona abitabile” delle loro stelle, dove l’acqua liquida potrebbe esistere. Il più vicino a noi è Proxima Centauri b, che orbita attorno a una stella M, ovvero una stella molto più fredda e più piccola del Sole. Attorno a stelle di tipo solare, tra i più noti pianeti nella regione abitabile della propria stella è Kepler-452b, distante 1400 anni luce dal Sistema solare. Per quest’ultimo, individuato dal satellite Kepler, grazie al transito che effettua ogni 385 giorni in fronte alla propria stella, non è stato possibile misurare la massa proprio perché la luce che ci giunge dalla sua stella è insufficiente per ottenere questa misura anche per i migliori strumenti ad oggi disponibili al mondo (es. lo spettrografo ESPRESSO al Very Large Telescope dell’ESO).
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In tutto quanti sono gli esopianeti già scoperti ritenuti potenzialmente abitabili?
L’Habitable Word Catalogue, mantenuto dal Planetary Habitability Laboratory (PHL) dell’Università di Puerto Rico ad Arecibo, elenca una trentina di pianeti potenzialmente abitabili. È importante notare che la definizione di “potenzialmente abitabile” si basa principalmente sulla posizione del pianeta nella zona abitabile della sua stella e su caratteristiche fisiche come massa e raggio. Tuttavia, la reale abitabilità dipende da molti altri fattori, tra cui la composizione atmosferica, la presenza di un campo magnetico e l’attività stellare, che spesso non sono ancora noti per molti di questi esopianeti.
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Se scoprissimo un pianeta potenzialmente abitabile, come potremmo indagare se vi sia già presenza di forme di vita?
Verificare la presenza di forme di vita richiede un approccio scientifico sofisticato e multidisciplinare. La ricerca si focalizzerebbe sull’analisi dell’atmosfera del pianeta tramite spettroscopia, alla ricerca di “biofirme” come ossigeno, ozono, metano, vapore acqueo, anidride carbonica, prodotti del fosforo. Inoltre vanno cercati segnali tecnologici, che possano fornire un indizio della presenza di civiltà tecnologicamente avanzate. A questo scopo vanno analizzate ad es. le onde radio, in quanto una trasmissione radio non attribuibile a un fenomeno naturale potrebbe essere un indizio di attività tecnologica.
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Viaggi interstellari: saranno mai possibili?
I viaggi interstellari rimangono una sfida enorme a causa delle distanze incredibili. Le principali difficoltà includono la necessità di velocità prossime a quelle della luce, l’energia richiesta e la durata del viaggio. Tuttavia, progetti come Breakthrough Starshot stanno esplorando tecnologie per piccole sonde interstellari.
Lei pensa che vi siano altre forme di vita nell’universo osservabile?
Con miliardi di galassie, ognuna contenente miliardi di stelle e pianeti, è ragionevole ipotizzare che possano esistere altre forme di vita. La missione PLATO e altre simili rappresentano un passo cruciale per esplorare questa possibilità dal punto di vista scientifico.
Nicoletta Benatelli