Elaborata dal ministro della Giustizia la bozza di regolamento per semplificare e uniformare il linguaggio usato dai legali
L’uso di dotti termini arcaici o di massime e citazioni in latino all’interno degli atti giudiziari ha le ore contate.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha elaborato e inviato al Consiglio nazionale forense la bozza di regolamento contenente l’indicazione di una serie di modalità per “favorire la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali”, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo 30 giugno.
Una sorta di “manuale” per i professionisti legali che introduce anche limiti di lunghezza e una struttura formale da rispettare, nella stesura del testo, al fine di uniformare e rendere comprensibili per tutti i contenuti dell’atto.
Uno schema, la cui emanazione è prevista dalla riforma Cartabia, che sembra convincere poco l’Associazione nazionale forense, anche se il decreto ministeriale non dovrebbe prevedere sanzioni per chi si discosta dalle nuove regole.
Atti giudiziari: le nuove regole di scrittura
Le nuove modalità di scrittura, in ogni caso, sono stringenti. A partire dalla necessità di sintesi nella stesura di atti di citazione, ricorsi, comparse di risposta o memorie difensive, che dovranno esporre gli argomenti in forma chiara e senza dilungarsi troppo.
Si prevede infatti la fissazione di una lunghezza di 50 mila caratteri, pari a circa 25 pagine di Word, come limite normale oggettivo massimo (escluse le parti formali come indice e firma) per i principali atti processuali. Ancor più stringenti i limiti per gli altri atti (25 mila caratteri) e per le note scritte in udienza (4 mila).
È prevista anche l’esclusione delle note, tranne quelle che servono a indicare gli estremi di un provvedimento, così come espressamente è esclusa la trascrizione di massime o citazioni dottrinali. L’eventuale superamento delle soglie, ammesso per questioni particolarmente complesse, dovrà comunque essere motivato dal legale. E anche la formattazione del testo dovrà rispettare alcune indicazioni: dimensione “12” del carattere, 1,5 di interlinea, margini orizzontali e verticali di 2,5 cm.
Le indicazioni sui contenuti
La nuova struttura formale dell’atto, poi, dovrà contenere non solo le indicazioni fondamentali come i nomi delle parti o dell’ufficio a cui ci si rivolge, ma anche l’individuazione dell’oggetto del giudizio attraverso un massimo di 10 parole chiave e l’indicazione delle norme di legge e dei precedenti giurisprudenziali invocati a proprio favore. I fatti dovranno quindi essere esposti in capitoli separati e numerati, in maniera distinta e specifica. E anche i documenti citati andranno numerati e denominati in maniera corrispondente al contenuto.
Le conclusioni degli avvocati, quindi, vanno formulate indicando distintamente ogni questione pregiudiziale, preliminare o di merito. L’atto giudiziario che non rispetta i limiti, in ogni caso, non sarà ritenuto per questo motivo inammissibile o invalido.
Quanto invece alle sentenze dei giudici, l’invito è sempre quello di redigere il provvedimento “in modo chiaro e sintetico”, anche se l’applicazione dei nuovi criteri generali avviene solo qualora questi risultino “compatibili”.
La reazione dell’Associazione nazionale forense
Il primo commento dell’Associazione nazionale forense alla bozza di regolamento sugli atti giudiziari, però, è stato negativo.
“Il tetto alla lunghezza degli atti – ha dichiarato il segretario generale dell’Anf, Giampaolo Di Marco, all’agenzia Dire – è una grave mutilazione del diritto di difesa. “La proposta di regolamento – prosegue Di Marco – rappresenta il punto più basso di una riforma del processo civile nata sotto una cattiva stella e che peggiora di giorno in giorno sotto gli occhi attoniti degli operatori del diritto”.
Alberto Minazzi