Quest’anno non assisteremo ai rituali falò e non ci sarà neppure la regata delle Maranteghe in Canal Grande, a Venezia. Causa Covid, il 2021 comincia con lo stop a un altro degli eventi popolari della tradizione veneta: la Befana (Epifania). Ma se non ci saranno fuochi, processi alla vecchia e vin brulè a riscaldare l’atmosfera, resta invece salda l’usanza di preparare la Pinza, dolce della tradizione contadina veneta.
Un dolce antichissimo
La Pinza sta all’Epifania come il Pandoro sta al Natale.
Il dolce veneto che da tempi antichissimi viene preparato nella stagione invernale è ormai associato al 6 gennaio. Adulti e bambini, davanti ai tradizionali roghi della “vecia”, mangiano una fetta di Pinza accompagnata da una bevanda calda, salutando il termine dei festeggiamenti natalizi.
Non esistono notizie certe di quando nacque questo dolce, figlio della tradizione contadina e della povertà, piatto semplice ma golosissimo. Pochi e “poveri” gli ingredienti della Pinza veneta: pane raffermo (a volte integrato con farina di mais gialla), uvetta passa, zucchero, uova, un bicchierino di grappa, semi di finocchio. Alcune varianti aggiungono noci, fichi secchi e frutta.
Ne risulta un dolce molto calorico, sostanzioso, adatto per la stagione invernale.
Per la Befana, a ciascuno la propria pinza
Ogni provincia veneta ha la propria ricetta. A Venezia, per esempio, la Pinza diventa “Nicolotta”, dal nome della parrocchia di San Nicolò dei Mendicoli, e veniva preparata per la festa del Santo patrono, il 6 dicembre, e poi consumata per tutto l’inverno.
La ricetta
Non esiste una ricetta codificata della Pinza, anzi verrebbe da dire che ogni famiglia veneta ha la propria e la tramanda da generazioni. In ogni caso, in un’ora circa, il vostro dolce sarà pronto e la preparazione è anche a prova di chi in cucina si sente un disastro. Però non siate frettolosi perché la Pinza si degusta al meglio a temperatura ambiente e si conserva per giorni, se non addirittura settimane.
La ricetta che vi proponiamo viene fornita dal Consorzio Pro Loco Quartier del Piave e fa parte del progetto regionale Cucina la Crisi. E voi quale ricetta avete?
La Pinsa (Pinza) nei detti popolari
Il giorno dell’Epifania, in attesa dei falò e del responso del vento, nelle campagne veneziane i vecchi recitano ancora “Pan e vin, ła pinsa soto el camin. Faive a ponente panoce gnente, faive a levante panoce tante” (Pane e vino, la pinza sotto il camino. Faville a ponente pannocchie niente, faville a levante pannocchie tante).
Quello del “Pan e vin”, o del falò, è un momento ancora importante nella nostra tradizione e ancor più lo era in passato, per la tradizione contadina, in quanto anticipava, con il suo responso, l’andamento della raccolta del nuovo anno.
L’Epifania e i riti tradizionali veneti
Panevin nel trevigiano, pirola parola nelle campagne veneziane, brusa la vecia nel padovano, la casera nel veneto orientale, el brujel nel veronese: nomi diversi per la stessa usanza.
Chissà da dove trae origine la tradizione dei falò dell’Epifania.
Di sicuro si perde in tempi lontanissimi e sembra legata a riti purificatori e propiziatori di epoca pre-cristiana, dove il fuoco era il protagonista del rituale. Fuoco che doveva bruciare e mandare via la brutta stagione, cioè l’inverno, mentre al vento spettava la parte più importante: se il fumo e le faville andavano verso est il raccolto del nuovo anno sarebbe stato buono, se tirava verso ovest l’annata sarebbe stata invece disastrosa.
Bel pezzo. Interessante e ricco di cultura veneta. Bravo il giornalista. Apprezzato