Rubato 30 anni fa a Venezia, il dipinto del Bellini non è più ricomparso: un’anomalia da cui parte la riflessione del giornalista Roberto Nardi sui furti d’arte
I furti d’arte sono tutt’altro che una rarità. Figuriamoci in una città come Venezia, che non a caso spesso viene definita un “museo a cielo aperto”.
Bastano pochi esempi. Il furto delle reliquie di Santa Lucia dalla chiesa di San Geremia del 7 novembre 1981. O la tela del Tiepolo asportata dalle pareti della chiesa di Santa Maria della Fava nella notte tra il 13 e 14 dicembre 1993.
Ancora, il furto della tela “Fontegheto de la farina” di Canaletto dall’abitazione dell’industriale Alberto Falk alle Zattere nell’ottobre 1998.
Fino al blitz del 3 gennaio 2018 a Palazzo Ducale, quando furono sottratti una spilla e un paio di orecchini esposti in una mostra.
Ma, anche spostandosi di pochi chilometri, a Padova, dove la banda di Felice Maniero trafugò il 10 ottobre 1991 il mento di San’Antonio, tutte queste storie hanno un punto in comune: il lieto fine. Si sia trattato di furti su commissione, di bande organizzate o di microcriminalità, prima o dopo, le opere sono state recuperate.
Tutte tranne una. Perché, a quasi 31 anni di distanza dalla notte del 1° marzo 1993, quando fu rubata dalla chiesa della Madonna dell’Orto, della “Madonna con Bambino” di Giovanni Bellini si è persa ogni traccia.
“Perché io?”: dal quadro al libro
“In conformità al tratto stilistico di Bellini – fa notare Roberto Nardi, giornalista e appassionato d’arte – nel dipinto “Madonna con bambino”, quest’ultimo guarda fuori dalla cornice, con la mano sinistra appoggiata sul petto e la bocca aperta, sembrando voler parlare. E, quindi, chiedersi, quasi pensando all’esito del furto: “Perché io?”.
Proprio questa domanda implicita è stata così scelta dall’autore per dare il titolo alla sua fatica letteraria, edita da Mazzanti Libri, in cui si trae spunto da quel lontano fatto di cronaca e dai suoi esiti anomali, se rapportati allo standard degli analoghi “colpi” portati a termine nel Veneziano e nei suoi dintorni, per una più ampia riflessione sulle tematiche relative all’arte e alla sua tutela.
“La volontà di scrivere questo libro – spiega Nardi – nasce principalmente da due considerazioni. La prima è quella di provare a riaccendere un faro, dopo 30 anni, su una vicenda irrisolta che ormai sembra scomparsa dalle cronache, pur riguardando un’opera molto importante, sia sul piano artistico che devozionale. Una ferita che, anche se non se ne parla più molto, è ancora aperta per Venezia”.
La seconda motivazione è quella di provare a capire che fine ha fatto il Bellini e perché è stato portato via.
Così il contributo che intende dare il libro attraverso la narrazione attraversa vari piani: dalla cronaca nera di quotidiani e agenzie dell’epoca alle testimonianze dirette, come quelle di parroco e Soprintendenza; dalle valutazioni artistiche alla ricostruzione storica della situazione veneziana nel periodo in cui avvennero i fatti.
Furti, saccheggi e la tutela dell’arte
La vicenda è dunque messa innanzitutto in relazione con un periodo in cui il fenomeno analizzato assunse una caratterizzazione molto specifica.
“Nella seconda metà dello scorso secolo, soprattutto a partire dagli anni Settanta – ricorda Roberto Nardi – si verificarono numerosi furti di opere d’arte. Molte bande della criminalità organizzata, soprattutto quella di Maniero, li vedevano infatti come uno strumento per raggiungere, attraverso il baratto, altri scopi”.
Il ragionamento, poi, viene ampliato dall’autore. “Da una parte, c’è il furto d’arte “privato”, per fini criminali o per colpi di testa riconducibili ai singoli. Dall’altra, ho ripercorso quindi anche il tema dei “saccheggi” d’arte, che hanno visto nella storia Venezia e non solo coinvolta, fin dai tempi di Napoleone Bonaparte, per arrivare alle razzie dei nazisti e che mi hanno permesso di affrontare la questione generale della tutela e della cura del bene artistico”.
Il libro, non a caso, è stato scelto dall’editore per inaugurare una nuova collana, chiamata “Cornici”, che intende creare uno spazio aperto in cui offrire nuove opportunità e nuovi rami di ricerca in cui la cronaca si incroci con i più diversi settori della cultura in modo “dinamico e laterale, per far sentire queste questioni come parte del nostro vivere”, illustra Nardi.
Arte: dalla tutela alla “cura”
Ecco, allora, che l’autore, in “Perché io?”, propone una propria tesi, riguardo al tema della conservazione delle opere d’arte: accanto a “difesa” e “sicurezza”, a “salvaguardia” e “tutela” (previste dalla stessa nostra Costituzione), andrebbe cioè aggiunto anche l’elemento della “cura”, che, spiega il giornalista-scrittore, “concerne maggiormente la sfera personale”.
“Bisogna – approfondisce – arrivare a sentire le opere come proprie, poter in qualche modo partecipare alla presa di coscienza che l’opera d’arte appartiene a tutti noi, che non esiste il concetto di un’opera semplicemente “custodita” in una chiesa o in un museo. L’arte è parte del nostro dna, del nostro essere comunità e civiltà”.
“Sottrarre un capolavoro – prosegue Nardi – non crea dunque solo un danno economico e culturale, ma intacca negativamente anche il nostro essere: sia nell’identità di appartenenza al genere umano, sia in quella parte di identità che si basa sulla memoria, sull’appartenenza a qualcosa di comune. Un’idea che, devo dire, ha trovato un buon riscontro nei commenti che mi hanno inviato i lettori”.
Il mistero della “Madonna con bambino”: quale soluzione?
Proprio questo nuovo approccio incide sull’idea dell’autore riguardo alla possibile soluzione del mistero legato alla mancata ricomparsa di una tavola relativamente piccola (75×50 cm).
“Una risposta certa – premette Nardi – io non la ho. Nel capitolo conclusivo, initolato “Ipotesi finale: il gioco della morte” provo dunque solo a ragionare sia sulle ragioni del furto, che sulla fine che può aver fatto il dipinto”.
Sulla vicenda, del resto, negli ambienti malavitosi veneziani circola la voce, supportata da dichiarazioni di un protagonista dell’epoca, che però ne parla solo riportando informazioni reperite da altri, che il quadro possa essere andato perso nell’incendio accidentale della casa di uno dei ladri.
“È un’ipotesi suggestiva – ritiene l’autore – ma non definitiva, non essendo suffragata da fatti. Una possibilità che non respingo a priori ma lascia il capitolo aperto sul piano investigativo”.
Roberto Nardi, però, espone un’idea alternativa, maturata nel corso delle ricerche, anche attraverso i colloqui con don Ferruccio Cavaggioni, il parroco di Madonna dell’Orto scomparso un anno fa. “Lui – ricorda – aveva la speranza di riveder tornare l’opera e aveva lasciato non a caso la cornice lignea vuota sopra l’altare della Cappella Valier, la prima a sinistra entrando in chiesa, con sotto la foto dell’opera”.
“Nell’ultimo colloquio con don Ferruccio – conclude Nardi – mi disse: “La committenza della sottrazione dell’opera, possibile e anzi soluzione più probabile, fa rabbrividire. Ma spero che il quadro sia ancora in casa di qualcuno”. Ecco: anch’io preferisco questa ipotesi, proprio per aprirmi alla speranza, piuttosto che arrendermi alla tragedia di un’opera irrimediabilmente perduta”.
Alberto Minazzi