La preoccupazione del presidente dell’Inps Tridico per le soluzioni dopo il 2022
Non solo “quota 100”, ma anche “quota 102”, “Opzione donna” e i programmi di pensionamento anticipato per i vulnerabili, cioè le misure più o meno temporanee pensate dall’Italia per favorire l’uscita dei lavoratori verso la pensione, non piacciono alla Commissione europea.
Come si legge nel rapporto sull’Italia pubblicato da Bruxelles, sono proprio le deroghe alla legge Fornero introdotte negli ultimi anni, unite agli sviluppi sfavorevoli della demografia, una delle cause individuate alla base di una spesa pensionistica che l’Unione europea ritiene sia “destinata ad aumentare” per il nostro Paese.
La dura presa di posizione da parte della Ue nei confronti dell’Italia sul fronte pensionistico rischia di tradursi nell’impossibilità, per il nostro Paese, di inserire nella prossima Legge di Bilancio altre soluzioni provvisorie per il 2023 in attesa della complessiva riforma dell’intero sistema pensionistico.
Quota 102, lo “scivolo” che consente ai lavoratori di richiedere il pensionamento dopo aver compiuto 64 anni e avendo maturato almeno 38 anni di contributi, scade infatti il 31 dicembre 2022. E il confronto tra Governo e sindacati avviato a inizio anno si è fermato con l’esplosione del conflitto tra Russia e Ucraina, che ha portato a incentrare gli sforzi sul tema energetico.
Che l’evoluzione del quadro non sia in senso positivo lo confermano le parole del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico.
“Sulla flessibilità del sistema pensionistico parliamo da troppo tempo e probabilmente nemmeno questa legislatura riuscirà a chiudere questo cantiere: almeno non mi sembra che questo capitolo sia in procinto di essere chiuso”, ha affermato il presidente dell’ente previdenziale in occasione di un convegno organizzato dall’Università “La Sapienza” di Roma.
La proposta di Tridico è quella di puntare a consentire l’uscita dal lavoro a chi ha 63 o 64 anni, potendo però fruire di una pensione basata solo sulla quota contributiva fino ai 67 anni, quando scatterebbe l’integrazione basata sul retributivo.
La posizione dei sindacati è invece quella che punta sul pensionamento a 62 anni o alla maturazione di 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica.
Il vero nodo, nel confronto tra Esecutivo e parti sociali, è però legato alla flessibilità in uscita, visto che il Governo non intende aprire a soluzioni che non si discostino da un calcolo meramente contributivo e che innalzino ulteriormente la spesa pensionistica.