Il rapporto annuale Inps: spesa vicina a 347 miliardi, va allargata la platea contributiva. Il peso dei prepensionamenti
Pur aumentando la spesa annua per le pensioni, che è arrivata a quasi 347 miliardi, il sistema previdenziale italiano è ancora in equilibrio, anche se non mancano diverse incognite per il futuro: dall’aumento dell’età media al calo delle nascite. Serve quindi un allargamento della platea contributiva, in particolare relativamente a giovani e donne, per far continuare a garantirne la sostenibilità.
È questo, in estrema sintesi, il messaggio che l’Inps ha lanciato presentando il 23° rapporto annuale. Dal quale sono emerse anche alcune criticità, come quelle legate alle pensioni anticipate, all’importo degli assegni e alle differenze di genere, con un impatto negativo per le donne della legge Fornero.
I numeri e le criticità del sistema pensionistico
A impattare sull’aumento della spesa pensionistica, che il rapporto considera particolarmente elevata se rapportata a quella di altri Paesi europei, ha nello specifico contribuito in modo particolare la rivalutazione degli importi degli assegni erogati, attraverso un’indicizzazione pari al +7,1%, legata anche all’adeguamento all’inflazione.
Nel 2023, infatti, il numero di pensionati è rimasto sostanzialmente stabile, attorno ai 16,2 milioni.
Vi sono però anche ragioni strutturali. La prima si lega al peso che continua ad avere il metodo di calcolo retributivo, ormai abbandonato ma ancora applicato alla stragrande maggioranza delle pensioni. Gli importi degli assegni pensionistici italiani sono infatti mediamente “generosi”, con un tasso di sostituzione rispetto all’ultimo stipendio percepito tra i più elevati dell’Unione Europea, attestandosi sopra la media di quasi il 15%.
Le differenze uomo-donna
Nonostante le donne beneficino di più della metà (il 52%) dei trattamenti pensionistici in essere, il divario di genere nell’importo mensile per le prestazioni liquidate nel 2023 è rimasto stabile al 27%, con 1.095 medi per i pensionati e 804 per le pensionate (il dato generale parla di 1.429,87 euro lordi per gli uomini e 883,50 per le donne).
I divari sono più elevati, sottolinea il rapporto, nelle regioni in cui gli importi medi delle prestazioni sono più alti, con la punta del 32% in Veneto.
Opzione donna, unita all’innalzamento dell’età pensionabile femminile introdotta dalla riforma Fornero, ha prodotto una distorsione. Molte lavoratrici hanno infatti sfruttato l’opportunità per uscire anticipatamente dal mercato del lavoro, pagando però sul fronte economico a causa del ricalcolo dell’assegno col metodo contributivo oltre che per l’applicazione dei requisiti richiesti (35 anni di versamenti e almeno 57 anni di età anagrafica per le dipendenti e 58 per le autonome nella prima versione).
Prepensionamenti: un peso che diminuisce
Il secondo tema è quello relativo all‘età effettiva di uscita dal lavoro e dell’impatto degli “scivoli” concessi per i prepensionamenti. Se l’età per poter iniziare a usufruire della pensione di vecchiaia stabilita dalla legge italiana, 67 anni, è tra le più alte in Europa, quella in cui si accede concretamente all’assegno è infatti in media di 64,2 anni. E questo proprio per la previsione di diversi canali di uscita anticipata, dalle “quote” a Opzione donna e Ape sociale.
Su questo fronte, comunque, si inizia a registrare un’inversione di tendenza. Rispetto all’ampio varco aperto con “quota 100”, il progressivo passaggio a “quota 102”, poi a “quota 103”, fino all’attuale vincolo al metodo contributivo introdotto, insieme ad altri paletti, dall’ultima legge di bilancio ne ha disincentivato il ricorso. Così, se i trattamenti anticipati erogati tra il 2013 e il 2018 sono stati 1,281 milioni, saliti a 1,5 tra il 2019 e il 2021, nel biennio 2022/23 si è scesi a 700 mila circa, con un calo del -15,5%.
Alberto Minazzi