Gli emendamenti alla Legge di Bilancio ridisegnano ulteriormente la rivalutazione degli assegni. Con un decreto interministeriale cresce anche il peso della quota contributiva per i neopensionati
L’aumento a circa 600 euro al mese (esattamente 597,3, con una rivalutazione aggiuntiva specifica del +6,4%) delle pensioni minime per chi ha più di 75 anni, introdotto sia pure solo per un anno dagli emendamenti del Governo alla manovra, non è l’unica novità in arrivo per il 2023 parlando di pensioni.
Le modifiche alla rivalutazione degli assegni inserite nella Legge di Bilancio, che potrà in ogni caso essere ulteriormente rivista fino alla definitiva approvazione del Parlamento, cambiano infatti le regole per l’indicizzazione delle somme, con l’entrata in vigore di un nuovo schema legato alle diverse fasce di reddito.
Inoltre, in materia pensionistica, sulla base di un decreto interministeriale del 1° dicembre, anche il calcolo della parte contributiva delle nuove pensioni liquidate nei prossimi 2 anni si tradurrà in assegni leggermente più alti, come conseguenza della riduzione della speranza di vita.
Il nuovo meccanismo di rivalutazione: le sei fasce
Lo schema attualmente in vigore prevede una rivalutazione delle pensioni al costo della vita (fissata per il prossimo anno al 7,3% da un decreto del Ministero dell’Economia) pari al 100% per chi percepisce un assegno fino a 4 volte il trattamento minimo (che salirà nel 2023 a 570 euro per chi ha meno di 75 anni), al 90% tra 4 e 5 volte il minimo e al 75% per chi supera tale soglia.
Dal 1° gennaio si passerà a un nuovo meccanismo di perequazione a 6 fasce.
Il Governo ha deciso di confermare l’adeguamento al 100% per gli assegni di importo fino a 2.100 euro lordi mensili, ovvero 4 volte il minimo.
Ogni mese, chi riceve queste pensioni di importo più basso riceverà quindi circa 153 euro lordi in più.
Rispetto alla previsione di un adeguamento all’80% prevista nella manovra inizialmente licenziata da Palazzo Chigi, la perequazione per chi percepisce fino a 2.626 euro al mese (5 volte il minimo) è stata ora portata all’85%.
L’emendamento ha invece reso più incisiva la riduzione della quota di adeguamento per le altre 4 fasce.
Fino a 6 volte il minimo, la rivalutazione sarà del 53% (anziché 55%); fino a 8 volte del 47% (invece di 50%); fino a 10 volte il minimo si scenderà al 37% (era 40% nella versione iniziale); oltre le 10 volte il minimo la percentuale sarà pari al 32%, con 3 punti percentuali in meno nei confronti di quanto previsto in precedenza.
Neopensionati: i coefficienti di trasformazione del montante contributivo
Altro discorso, non legato alla Legge di Bilancio, ma a un già approvato decreto interministeriale, è quello dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo.
Si parla, in questo caso, dei meccanismi di calcolo che si applicano alla parte contributiva delle nuove prestazioni pensionistiche.
Anche su questo fronte, per il prossimo biennio ci sarà un aumento, a parità di contributi versati.
In considerazione della riduzione della speranza di vita, collegata all’aumento di mortalità dovuto alla pandemia, i valori sono stati aggiornati con un incremento tra il +2% e il +3% rispetto a quelli applicati nel 2021/22.
È la prima volta che si registrano variazioni positive, se si esclude quanto avvenuto per la fascia sopra i 66 anni nel triennio 2013/15.
I nuovi coefficienti sono stati diffusi con una nota dell’Inps.
L’aumento del coefficiente sarà per esempio pari a +2,65% per chi ha 67 anni.
Chi andrà in pensione con “quota 103”, a 62 anni, potrà invece usufruire di un aumento del coefficiente del +2,35 rispetto a quello del biennio precedente, anche se va ricordato che, per questi lavoratori, una parte del calcolo avviene con il metodo retributivo (e quindi non si applica il coefficiente).
A 67 anni, il nuovo coefficiente sarà di 5,723 (era di 5,575 nel biennio 2021-2022): un valore più alto anche rispetto al triennio 2016/18, quando si era attestato a 5,700.
Bisogna ricordare, al riguardo, che i coefficienti di trasformazione aumentano in base all’età anagrafica del lavoratore nel momento di uscita dal lavoro.
Per chi inizia a ricevere la pensione a 57 anni il coefficiente nel 2023 sarà di 4,270 (4,186 fino a quest’anno); ai 71 enni che inizieranno a ricevere la pensione dal prossimo anno si applicherà un coefficiente di 6,655 dal precedente 6,466.
Alberto Minazzi