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Pensione: per i giovani più tardi e più bassa

Pensione: per i giovani più tardi e più bassa

L’indagine del Consiglio Nazionale dei Giovani: prospettiva di uscita dal lavoro oltre i 70 anni, con importi poco oltre l’assegno sociale

La pensione diventa un traguardo sempre più lontano per i giovani lavoratori. E non solo: l’assegno mensile che percepiranno al termine della loro vita lavorativa sarà decisamente più basso rispetto a quello di cui stanno godendo o inizieranno a godere nei prossimi anni le generazioni che li hanno preceduti.
Chi oggi ha meno di 35 anni, dovrà infatti restare sul posto di lavoro anche dopo i 70 anni per portare a casa una pensione mensile che supera di poco quella sociale. Né basterà arrivare all’età anagrafica di quasi 74 anni per garantirsi mediamente un importo medio dell’assegno che superi i 1.100 euro.Il tutt’altro che rassicurante quadro è stato disegnato dall’indagine “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani”, realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani in collaborazione con Eures. “La situazione sarà socialmente insostenibile”, ha ammonito la presidente del Cng, Maria Cristina Pisani.
Un commento scontato se si pensa che i risultati della ricerca si spingono oltre le già preoccupanti stime dell’Ocse, secondo cui l‘Italia è il Paese europeo in cui l’età pensionabile dei giovani che hanno iniziato a lavorare a 22 anni nel 2020 sarà di 71 anni.

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Il peso dei salari bassi

Le stime del Consiglio Nazionale dei Giovani individuano, tra le cause di questo fenomeno, principalmente il cambio del sistema di calcolo delle pensioni, che vedrà progressivamente la scomparsa di quello retributivo, basato sugli ultimi stipendi percepiti nel corso della vita lavorativa e applicato in tutto o in parte agli attuali pensionati, per il passaggio a un sistema contributivo puro, ovvero determinato solo dagli importi versati sotto forma di contributi.
Un fattore che incide in maniera significativa è dunque la condizione lavorativa delle nuove generazioni, che è caratterizzata da discontinuità e precarietà e vede un livello delle retribuzioni decisamente basso.
Nel 2021, il 26,9% dei lavoratori sotto i 35 anni ha guadagnato, nell’arco dei 12 mesi, meno di 5 mila euro: rispetto al 2016, la percentuale è salita di 2,6 punti.
A questa quota va aggiunto il 16,3% del totale di lavoratori under 35 che è arrivata a una retribuzione tra 5 e 10 mila euro. La percentuale, sull’intera platea dei lavoratori attivi, di coloro che si inseriscono in quest’ultima fascia è del 12,3%. E, per tacere del consistente scarto retributivo che anche tra i più giovani penalizza le donne, il trend generale sfavorevole ai giovani è in continuo peggioramento.

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Sempre nel 2021, gli under 25 hanno guadagnato in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione media complessiva; chi ha tra 25 e 34 anni 17.076 euro, il 78% della retribuzione media. Si assiste, spiega l’indagine, a un processo di polarizzazione, confermato dal fatto che i giovani con una retribuzione oltre i 30 mila euro sono passati, negli ultimi 5 anni, dal 7,6% al 9,3% del totale.

I tempi e gli importi delle pensioni

Il Cng ricorda anche che, in 10 anni, dal 2011 al 2021, si è ridotta di oltre 10 punti percentuali, scendendo dal 70,3% al 60,1%, la quota di giovani con contratti a tempo indeterminato, con quasi il 40% che dunque oggi ha un contratto atipico o a tempo determinato. E anche questo è un dato che incide sulla data del pensionamento, che sale mediamente di 5 anni per i nati nel 1980 rispetto ai lavoratori della generazione precedente.
Solo il 39% di chi oggi ha 43 anni, aggiunge il rapporto, riuscirà quindi a percepire la pensione prima del compimento dei 70 anni. E chi lo farà dovrà sfruttare i meccanismi premiali del pensionamento anticipato: gli stessi che hanno consentito all’80% di chi è nato nel 1945 di andare in pensione prima dei 65 anni di età. Una situazione che non trova giustificazione nemmeno nell’aumento della speranza di vita a 65 anni, perché questa, nei prossimi anni, crescerà solo di 2 anni e mezzo.
Quanto all’importo dell’assegno atteso, i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni se lavoreranno fino al 2057, con un pensionamento vicino ai 74 anni, ogni mese riceveranno 1.099 euro al netto dell’Irpef (1.577 lordi), pari a 3,1 volte l’assegno sociale. L’importo sale, secondo il Cng, a 1.128 netti (1.650 lordi), 3,3 volte l’assegno sociale, per i lavoratori in partita Iva che andranno in pensione nel 2057 a 73,6 anni.

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Il tutto in un contesto in cui, secondo l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia nel 2020 è stata pari al 17,6% del pil, la seconda più alta in Europa. “Le stime – conclude Alessandro Fortuna, consigliere di presidenza del Cng con delega alle politiche occupazionali e previdenziali – evidenziano la grave distorsione del sistema pensionistico, così come attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più bassi”.

Alberto Minazzi

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Tag:  pensioni